"LA DECIMA VITTIMA" (1965)

Portare tutto all'estremo, secondo il credo "Petriano", dove al centro c'è (sempre) lui, l'uomo, combattuto e nevrotico, succube di una realtà allucinata: la metafora è servita, siamo in un mondo del futuro, un futuro mai troppo lontano, arcaico per difetto ma fortemente presente, che potrebbe davvero nascondersi dietro l'angolo, una realtà dispotica di di cacciatori e prede, di trofei con tanto di premi, predatori e prede, ed ecco l'uomo e la donna (Adamo ed Eva?).

In fondo, si cerca sempre, e comunque, di sopravvivere agli eventi, di vincere qualcosa...


"LA DECIMA VITTIMA", del 1965, rivisto oggi, resta una delle opere emblema del cinema secondo Elio Petri. Per me il suo film migliore, anche dal punto di vista estetico, ed è tra le prove più importanti del cinema di fantascienza italiano. Facciamo un appunto sullla data dell'opera: siamo nel 1965. L'anno delle grandi prove di un genere che , in Italia non avrà mai lo sforzo industriale (SciFi), ma che troverà, nell’operatore di una serie di cineasti, una serie di film importanti. Nel 1965 uscirà, come sappiamo, “TERRORE NELLO SPAZIO” di Mario Bava ( e conosciamo l'importanza di questo film nell'immaginario di Ridley Scott per “Alien”), sempre nel 1965 inizia la quadrilogia, prodotta dalla MGM, “GAMMA UNO” di Margheriti (anche qui, citando, l’importanza di queste pellicole che ebbero nell’immaginario di Kubric per il suo “2001”). Se Bava e Margheriti hanno realizzato degli “Space movie” (Bava contaminandolo con elementi horror, in fondo “TERRORE NELLO SPAZIO” siano nel territorio di uno “space zombi/movie”). Petri si colloca in un territorio del fantasociale, girando un film tratto dal romanzo di Robert Sheckley, con varie libertà dal testo originale (ed un finale accomodante, imposto dal produttore Carlo Ponti, su cui il regista ha sempre dimostrato la sua contrarietà, anche, se, malgrado il limite, non è così pessimo come viene additato).

Ma è proprio nel difetto, in questo gioco di scambio e di contaminazione tra generi e sottogeneri, per un film che passa dalla commedia fanta/dispotica e politica, per una (im)possibile love story, dal thriller al western, in questo gioco di incastri e contrasti, che rendono "LA DECIMA VITTIMA" un film importante, di vera satira corrosiva, acido e senza speranza, feroce nella sua denuncia sul potere, vero cruccio del cinema Petrian, nelle sue varie manifestazioni (capitalistico, dei mass media, il potere dell'uomo sull'altro, come lotta di e sul potere, il potere come forma autodistruttiva...), capace di descrivere, mediante allegorie, simboli, le inquietudine più "oscure" dell'uomo moderno, nei suoi costumi sociali, antropologici, etici e morali, nelle relazioni tra individui (ma, sappiamo, che l'uomo è una bestia strana, complessa quanto contraddittoria...).

Un film da vedere, anche solo per la tecnica di Petri, ed è una di quelle opere che sanno suggestionare, per il modo lucido e dissacrante con cui il regista c'è le offre, ma anche per lo stile (appunto la tecnica), nel descrivere con puntigliosa critica questo mondo di domani. Depauperando la scena da facili barocchismi fantascientifici e fantastici, almeno fino ad un certo punto, perchè solo così si rende credibile un futuro che, per questo, puzza di presente, anzi, di un presente che è già, a suo dire, futuro: prossimo o venturo, è uguale, quindi lavorando sugli ambienti, spazi, luci, suoni, sugli accessori, strani ed enigmatici, scenografie (dal passato al futuro, l'idea che il duello finale si svolga tra le rovine romane, sullo sfondo del Colosseo, è geniale, ed è metaforica sull'idea di "rovina" di una civiltà), ma anche nei costumi (il look di Mastroianni, ad esempio, iconico, con tanto capello biondo e gli immancabili occhiali da sole, per non parlare delle mise indossate da Elsa Martinelli), fino nell'oggettistica, negli arredi, quindi, è interessante comprenderne certi elementi, anche soffermarsi sui riferimenti visivi legati alla Pop Art e all'arte Cinetica (l’opera pittorica di Alberto Biasi del gruppo N, ma anche certi riferimenti alle sculture di George Segal). Un futuro retrò, da modernariato cinefilo, sull'idea che negli anni sessanta si poteva avere/immaginare sul lontano duemila (!).

Così, "LA DECIMA VITTIMA" odora ad ogni inquadratura di analogico, perchè i tempi e le estetiche cambiano, il futuro cinematografico rispecchia sempre le paure del presente, così, laconicamente, possiamo riassumere scrivendo che, in fondo, non esiste più il futuro di una volta...


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Raffaello Becucci