Immagini, Mostri e Monstri
«Ignoriamo il senso del drago, come ignoriamo il senso dell’universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che si accorda con l’immaginazione degli uomini» con questa frase emblematica, divenuta celebre nel tempo, Jorge Luis Borges accompagnava il lettore nella lettura del Manual de zoología fantástica, divenuto poi El libro de los seres imaginarios che aveva curato insieme a Margarita Guerrero. C’è qualcosa nelle creature “immaginarie”, negli esseri fantastici, che parla direttamente con il nostro inconscio, con il nostro spirito, con la nostra parte più interiore e oscura – chiamatela pure come più vi aggrada.
Il mostro, come sappiamo, anche etimologicamente parlando, è prodigio: uno squarcio nel – cosiddetto – reale (che chiaramente non esiste, quello che noi chiamiamo reale è solo una possibile e parziale espressione della nostra esperienza della realtà), una minuscola voragine che lascia intravedere il meraviglioso invisibile che sta dietro la trama dell’universo attorno a noi.
Con questa attitudine potremmo avvicinarci al Cahier de Monstres (Edizioni degli animali, 2021) di Teresa Iaria. Un libro mostruoso, proprio nel senso di meraviglioso. Si pone al lettore come un «quaderno dove s’intrecciano vissuto e immaginazione, incontri ideali e reali», nel quale l’autrice, artista ormai navigata la cui esperienza riluce e sorprende a ogni passo, si racconta, tramite i suoi incontri con la meraviglia, appunto. O meglio gli incontri – fisici o metafisici, diciamo così – che «hanno contribuito a far nascere» la meraviglia della sua arte magica e delle sue opere prodigiose, fatte di «Immagini, Mostri e Monstri».
Navigando le pagine di questo libro scopriamo non solo una terra che è molte terre insieme – e mari e cieli e foreste e vulcani –, l’Isoletta, ovvero, prosaicamente: l’opera di un’artista memorabile; ma abbiamo la possibilità di sbirciare, di scrutare, di curiosare nel substrato, immergendoci nel fondale marino dal quale nascono le creature di Teresa Iaria. Un fondale dove risuonano, come un canto di balena, le voci di molti autori che amo profondamente, diversissimi tra loro, e dove i pesci-mostri si riparano dietro rocce fatte della materia della vita e delle esperienze concrete dell’autrice. Pullula di vita l’arte di Teresa Iaria, la vita nella sua forma più pura, la Natura senza vesti si mostra. E questo verbo: mostrare ci riporta, ancora e sempre, al monstro, alla «cosa straordinaria».
Proponiamo qui, per gentile concessione dell’autrice e dell’editore (che ringraziamo) una selezione minima di alcune pagine del Cahier per «mostrare», appunto, al lettore sensibile, alcune delle creature che popolano gli immensi paesaggi dell’opera di Teresa Iaria e che rendono questo libro un’incredibile coacervo di meraviglie che tramite una curatela magistrale riesce a restituire tutta la potenza di un’artista che nasconde sorprese straordinarie, capace di impensabili prodigi.
dal cahier de monstres
di teresa iaria
Lampo e rosa, in noi, nella loro fugacità, per il nostro compimento, s’uniscono.
René Char Poesia e prosa
Il mare, sarà stato mezzogiorno, come da un calofaro di rema, come dalla spirale d’una vena persa di remamadre, una vena di bastardello, di montante o di calante, che dallo sprofondo filava, sfilava a summo quei pescicelli, tutt’un biancore davvero d’argentovivo, si era messo di punto in bianco a eruttare cicirella.
Laddèntro, visto da terra, l’orcaferone andava confondendosi sempre più all’occhio, e c’erano momenti in cui si poteva scambiarlo per uno scoglio contornato di schiume, sotto rametti rossi di corallo e ciuffi verdi di alghe: lo scoglio, di tanto in tanto eruttava ancora dallo sfiatatoio quei vapori di sangue fumicosi, bassi bassi, e quelli soli segnalavano ancora la sua presenza in vita, ma segnalavano anche che quel vulcano andava finendo di eruttare, quella volta, una volta per tutte.
Stefano D’Arrigo Horcynus Orca
La figurazione a volte emergeva per necessità evocativa. Grazie a Siriana Sgavicchia e Andrea Cedola, conobbi Stefano D’Arrigo. Entrambi, stavano curando I Fatti della Fera, una prima redazione dell’Horcynus Orca, e mi raccontarono la genesi dell’opera. Iniziai a leggerla e anch’io ne rimasi folgorata. Il sud, la cultura mediterranea, il mito, che trasborda dalle acque dello stretto, tra Calabria e Sicilia, e la lingua usata per raccontarlo, furono dirompenti, ancora suggeritori di immagini.
Il mare, la fera, le uova di razza.
Teresa Iaria
Lavorare sulle immagini significa lavorare sulle cose. Le cose ci parlano attraverso le immagini. Questo colloquio tra noi e loro ci accompagna per tutta la vita. È un dialogo con i morti, con ciò che è stato e sarà.
Non c’è un mondo fantastico, di fantasia da una parte, e un altro reale. Non esiste opposizione tra realtà e irrealtà. La natura accade in noi e noi in lei. L’onda che lambisce al tramonto la spiaggia di sassi è un invito a pensare a un altro movimento...
Esistere per intero, rifiutando i frammenti o riconoscendo la loro parte mancante come presenza viva. L’amputazione parla da un altro luogo di noi, qui e ora. Scaldati dal sole di primavera come lucertole su un muretto di sassi. Appartenere al tempo indiviso, al giardino di questa piazza, all’erba cocciuta e solitaria. Sentire come sentono gli animali (come noi crediamo che loro sentano). Avvicinarsi a un’altra creatura come fanno i gatti, con accortezza e stupore. Sempre pronti alla fuga. Pensare di esistere vicino al cuore selvaggio della vita.
Riccardo Corsi Libro del Vento
Come nei vangeli, la fiaba è un ago d’oro, sospeso a un nord oscillante, imponderabile, sempre diversamente inclinato, come l’albero maestro di un vascello su un mare ondoso.
Come nei sogni oracolari l’aria non è che un vuoto senza confini, e insieme è spessa come una nube ardente. Tempo e spazio «avvolti come fogli».
Cristina Campo Gli imperdonabili