Dialoghi interiori
Entrare nel paesaggio sonoro di Giulio Aldinucci equivale a varcare una stretta gola e trovarsi all'improvviso in un giardino segreto.
Una enclave lontana dalle piste già battute e dove gli strati di spazio e di tempo si sommano in un dialogo ininterrotto.
Aldinucci ha percorso un po' tutti i campi della produzione, realizzando colonne sonore per video, spettacoli teatrali, installazioni.
Ha suonato per prestigiose rassegne e spazi d'arte collezionando una nutrita serie di opere stampate su cd e vinile: un curriculum davvero ampio.
Come molti sound-artist ha fatto del dialogo con altri sperimentatori una delle sue caratteristiche salienti dando origine a collaborazioni nelle quali appare evidente il desiderio di sintesi che anima le diverse opere, piuttosto che di affermazione del proprio stile.
Questa attitudine gli permette di calibrare la propria sensibilità personale in relazione ai materiali sonori utilizzati dall'altro musicista così da produrre una sorta di variazione continua, ma sempre ancorata al proprio modo di vivere il suono.
Il field recordings é alla base della ricerca condotta da Aldinucci.
Ma anche qui occorre fare un distinguo visto che i suoni che compongono i suoi lavori non sono la semplice riproposizione di qualcosa catturato in un ambiente.
I lavori ci offrono infatti un suono denso, galleggiante, risultato di un processo di selezione ed elaborazione di singoli campioni audio di brevissima durata accuratamente scelti e filtrati.
Espansione di particelle sonore fino al raggiungimento di un suono denso e quasi ipnotico. Qualcosa che ricorda l'incessante mutare delle acque del mare o della sabbia del deserto: sempre uguale ma sempre diversa.
Attraverso una stretta relazione con spazi acustici e successive stratificazioni costruisce paesaggi sonori nei quali alla densità del suono ambientale si sommano chiari elementi di musica sacra o comunque corale sul confine di un delicato equilibrio che percorre i diversi brani diventandone una sorta di fil rouge.
A sottolineare la cura che Aldinucci mette nella propria ricerca, così preziosamente artigianale, va menzionato il fatto che è anche l'autore delle immagini che graficamente accompagnano il suo lavoro sul suono.
Scatti fotografici e suoni sembrano essere l'uno la prova del nove dell'altro, confermando così la chiarezza di una visione nella quale la diversità trova equilibrio e sintesi.
Domande e risposte con Giulio Aldinucci:
Cosa ti ha interessato o incuriosito tanto da spingerti a cominciare a lavorare con i suoni?
Il suono sfiora il sostrato cognitivo che sta a monte del linguaggio verbale. Le sensazioni scaturite da un ascolto profondo si avvicinano all’impossibile lambendo l’essenza più profonda, illudendoci che sia possibile fare a meno di qualsiasi linguaggio.
È il progetto che nasce per primo e poi viene sviluppato con i suoni oppure sono i suoni che materializzano un'idea?
Parto sempre dai suoni, dall’esperienza a cui sono legati: cerco con umiltà dentro una polisemia primordiale le fondamenta di un’idea; l’inizio è sempre "per forza di levare".
Che rapporti hai con le etichette per la realizzazione fisica dei tuoi lavori?
Nel corso degli anni il mio stile è cambiato e di conseguenza ho avuto la possibilità di rapportarmi con etichette differenti; i primi contatti sono avvenuti quasi sempre tramite l’invio di demo. Ho avuto la fortuna di incontrare molte persone capaci e sensibili, dispensatrici di consigli con parsimonia e acutezza.
Come hai strutturato il progetto? La sequenza delle tracce segue un ordine particolare, c’è un pensiero unico che sta sotto, oppure altro?
I miei album sono concepiti come raccolte di composizioni che hanno in comune l’esplorazione, da angolature differenti, di un concept comune. Sebbene ogni traccia nasca quindi come composizione a sé stante, dedico molta cura alla scelta della tracklist: il “discorso” sul concept deve essere fluido e coerente.
Tu appartieni ad una avanguardia che sta lavorando molto sul confine della musica di ricerca qui in Italia, che molto sta facendo per il suono elettronico. Com'è la situazione vista dal tuo osservatorio?
Ti ringrazio per queste parole.
L’aspetto che trovo più bello è indubbiamente quello della pluralità: nonostante percorsi e vissuti comuni, collaborazioni, scambi frequenti di idee e stessi palchi, ognuno ha la propria voce, si evolve seguendo la propria strada. C’è condivisione, ma non omologazione.
Ogni volta che parlo del presente, non riesco a fare a meno di ripetere quanto la mia generazione abbia avuto fortuna nel crescere in un contesto così fertile: in Italia abbiamo una tradizione di sperimentazione artistica. Non allontanandomi molto dal tema, sarei davvero felice se ci fossero più compositori e compositrici giovani, sotto i trent’anni.
Trovi differenze fra gli artisti nelle diverse nazioni?
Io credo che sia l'ambiente culturale a determinare lo sviluppo cognitivo nell’infanzia e che il contesto non smetta poi di condizionare e influenzare la personalità. Al tempo stesso la curiosità dell’artista si sposta oltre le linee astratte delle carte geografiche: è cittadino e osservatore planetario. Non trovo quindi delle differenze su base nazionale tout court, ma le radici sono sempre ben chiare negli artisti che amo.
Per approfondire la conoscenza di Giulio Aldinucci:
https://soundcloud.com/giulioaldinucci/aphasic-semiotics
https://soundcloud.com/karlrecords/giulio-aldinucci-the-eternal-transition