Genesis - la Voce e lo Sciamano

Una cosmogonia erotica di Andrea Cafarella ed Emiliano Martino

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E fu l’amplesso di Notte e del Dì, nel Nulla. E nacque la Voce nell’urlo di Notte, orgasmo primigenio. E si sperse nelle metamorfosi dell’ombra e nel crepuscolare perpetuo della luce.

 

Dal Nulla si genera la Voce, emanata dal ventre di Notte in forma di urlo, durante l’amplesso primordiale col Dì, la luce. In questo senso, la nascita della Voce è antecedente all’origine dei mondi. La comparsa del reale, del mondo materiale, del tangibile, che si origina dall’orgasmo del Dì, determina la fine dell’atto procreativo, e l’inizio di Tutto. Il grido, padre dell’intangibile, invece, scaturisce dalla bocca di Notte già nel precedente Nulla, quando ancora le due entità divine sono intente nella copula. Ambedue i mondi, immateriale e materico, si formano da tutti e due gli amanti: dall’atto, appunto, della loro comunione corporea. L’uno, il mondo della veglia, delle cose dimostrabili, si genera dall’eiaculazione del Dì, dalla presenza fecondatrice della luce sgorgante sulla materia e sui corpi, didentro Notte e attraverso di lei. L’altro, il mondo nascosto, delle cose impalpabili, si forma poco dopo l’amplesso, illuminato dalle spalle del Dì e dalla sua assenza – ma proviene al contempo da un momento antecedente: l’istante dell’urlo orgasmico di Notte. Travalica il tempo della copula coesistendo prima e dopo, e durante. Trascende passato e futuro, e presente.

L’eco della voce gaudente ­– la Voce – racchiusa nell’urlo di Notte si riverbera eternamente nel suo mondo onirico e si fa cosmo e si fa tutto e nulla e si fa assoluto.

 

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La voce si tramutò in una melopea piena e conchiusa. Flussi linee accordi intrecciati nei sogni e di sogni siffatti.

 

È nei sogni di Notte che l’urlo godurioso si trasforma – ed è qui il fulcro del mondo immateriale: la metamorfosi. Si armonizza e si fa complesso. Diventa sogno, si fa bello. Da grido primordiale – che in una nota stonata, naturale e ancora grezza, spontanea, porta in sé tutto il significato dell’esistenza – diventa una melodia perfetta che, dovendo contenere ogni cosa, è portata necessariamente a moltiplicarsi e differenziarsi nell’essenza.

Sono le metamorfosi dell’ombra, non una singola, unica trasmutazione metamorfica.

Il potere intrinseco del grido-melodia è quello d’introdursi e, mischiandosi, unificarsi ai sogni di Notte; allo stato d’incoscienza in cui gli amanti appagati giacciono, per evocarne la Verità.

Vi è senza dubbio una differenza sostantiva tra il Dì e la Notte, il mondo materiale, delle cose visibili, e quello delle cose invisibili. Vedere sarà il senso del giorno, mentre sentire quello della notte. Allo stesso modo: guardare e ascoltare. Ancora: se il tangibile è maschio l’intangibile è femmina. Lo dimostra il fatto che nel mondo materico è proprio su questo dualismo che si creano le idee e si definiscono le cose: per contrapposizione. Nel sogno di Notte, invece, è un continuo nascere e rinascere di contraddizioni che, incontrandosi, si uniscono e si fanno altro, nelle loro infinite diversità paradossali che si armonizzano nel paradosso di una misteriosa presenza assenza: un nulla consistente che non è possibile definire perché non esiste nulla cui contrapporlo.

 

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E suoni e rumori si riversarono in un turbine, un vortice di esistenza splendente e confusa. Il cuore dell’invisibile.

 

Quello che nel mondo materico è chiamato tutto, nel mondo immateriale è un «turbine»: un insieme confuso, sempre in movimento e in continua mutazione e congiunzione e influenza reciproca tra le singole entità che lo compongono. Una comunione perenne di esistenza potenziale.

Non si distinguono i corpi dagli spiriti, nel turbine.

Il turbine è turbine in se stesso e, pur contenendo innumerevoli entità, esse non lo determinano; ne prescinde poiché è un unicum.

Nonostante le entità del mondo immateriale sono nel turbine e sono esse stesse il turbine, da esso si distaccano: vengono richiamate oppure, senza apparente motivo, esistono anche altrove, oppure ancora scelgono di apparire con nuove sembianze in altri luoghi del tutto materico.

Una forza centrifuga misteriosa trafuga dal turbine frammenti dello stesso turbine, entità che, con una potenza incontrollabile, vengono scagliate nei mondi e possono esistere ed esistono, nelle forme uniche e nei tempi irripetibili di quei singoli mondi.

 

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Nel sonno di Notte non v’è Tempo. Seppure ella lo vide sulle spalle del Dì e lo sentì dentro di sé, nel suo seme. Esso fu il lascito del concepimento.

 

Il mondo materiale, nella sua interezza, si compone quando il Dì si volta, per riposare, e Notte, sdraiata, si ferma a pensare davanti alle massicce imponenti spalle del Dì, che tutto ricoprono con la loro presenza-assenza, comprese le intuizioni malinconiche di Notte; finché ella non si rigira nel giaciglio della creazione e lascia che i pensieri s’intreccino, nel sogno, alla Voce – la eco dell’urlo orgasmico emanato durante l’amplesso primigenio. Nella solitudine melanconica delle riflessioni notturne, che già si legano ai sogni, Notte partorisce il mondo immateriale.

Il Tempo è figlio dell’amplesso, parte del concepimento. Si trova nel seme del Dì e crea il mondo nel ventre di Notte. Persiste nei pensieri di Notte ma non può insinuarsi nei suoi sogni, nel caos assoluto del suo sonno nostalgico.

Il turbinio dell’intangibile gorgoglia senza seguire l’ordine del Tempo. Si è liberato dalla schiavitù del passato e dall’attesa del futuro per ignorare il presente. Persino il suo vibrare è scevro dal concetto di linearità del Tempo. Quando i frammenti del turbine – le entità del mondo immateriale – vengono scagliati a velocità incalcolabili, poiché intangibili, nel Tempo, prima ancora di farsi materia e incontrare la superfice o l’acqua o il cielo, essi sanno già del Tempo, ricordano il Tempo, e ne avvertono la presenza. Ed è come se debbano istantaneamente reimparare quel sentimento, quel modo di sentire, per farsi visibili. Per questo motivo spesso si rivelano in un lampo, in una luce, in fuochi fatui. A volte le entità immateriali sopravvivono un istante e l’istante successivo – nel Tempo del mondo materiale – non esistono più nella loro forma tangibile. Tornano invisibili, tornano altrove. Non avendo concezione del Tempo non possono esistere completamente. Tuttavia conservano la rimembranza del Tempo, promanato in forma di luce, dalla schiena del Dì, prima del sonno e dei sogni di Notte. Grazie a quel briciolo di memoria senza tempo, attraversano i mondi e mutano la propria sostanza per aderire a quella del mondo in cui si trovano ad apparire, esistere, farsi tangibili.

 

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E dalla melodia sgorgarono le parole divine dei sogni oscuri illuminati dal seme del Dì. E la Voce si fece lingua e i vocaboli presero a esistere nel sonno eterno degli amanti distesi nel Nulla.

 

La metamorfosi non è mai unica. Sono le metamorfosi della Voce: essa da grido si fa melodia e unendosi alla luce – «il seme del Dì» – nel Tempo, si tramuta in linguaggio e crea le parole, e quindi le cose del mondo, i suoi corpi definiti e tangibili. «La lingua» indica tutto ciò che può essere linguaggio e tutto ciò che può essere parola. Qui s’intende quindi: il gesto comunicativo tra gli esseri – che è sempre anch’esso un cambiamento, una mutazione, una metamorfosi. Sono linguaggio i cambiamenti energetici, auratici dell’anima che inevitabilmente parlano, come sono linguaggio le lingue: simboli e suoni astratti che, attraverso un codice comune, diventano utilizzabili per creare senso e comunicarlo all’altro attraverso diversi canali: la carta, l’aria, lo spirito. Linguaggio è quando lo spazio, l’attorno, viene metamorfosato e diventa parola, crea senso.

Quindi è la Voce che si trasfigura e diviene linguaggio, e si erge nel Tempo, ombrosa di mistero ma diafana, perspicua, afferrabile, anche solo per un barbaglio sperso nell’oscurità.

 

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Nel giaciglio si ersero i monti, illuminati e tesi alla volta celeste e il grande mare si accovacciò, nel buio del fondo.

 

È dal linguaggio che si formano tutte le cose del mondo materiale, mentre quelle del mondo invisibile vorticano in una melodia senza codici. Se da una parte avviene una contrapposizione, per necessità di definire, di comprendere e di codificare; dall’altra si sprigiona la potenza creatrice dell’unione provocata dalla perdizione nell’indefinito. Quella che potremmo chiamare «comunione notturna». Esattamente il fenomeno grazie al quale in sogno è possibile qualsiasi cosa. Ed è possibile pensare e percepire, sentire qualsiasi cosa. Il mondo delle idee, in effetti, è il prolungamento naturale del mondo immateriale, ed è «il turbine» e da esso proviene. A volte i pensieri si possono riconfigurare attraverso le leggi del mondo visibile, ma altre volte nulla di ciò che si pensa appare concreto o esplicabile. Le emanazioni del mondo immateriale nel mondo materico sono innumerevoli e spesso appaiono funeste, spaventando gli esseri che non sono pronti al percepire assoluto. Allo stesso modo, il mondo materico si specchia nel turbine e così lo coinvolge nella sua esistenza. Difatti gli esseri intangibili somigliano a quelli materiali. In questo senso viene da chiedersi: è forse la luce tiranna la forza centrifuga che trafuga le entità dal turbine?

 

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L’orizzonte a separare i corpi degli amanti, linea di senso lo spazio d’inconsistenza tra tutto e nulla.

 

È scritto che tra i corpi del Dì e di Notte vi è uno spazio. D’inconsistenza. Il tutto e il nulla segnalano l’inizio e la fine – e prima dell’inizio c’è la fine stessa (Fine-Inizio-Fine) in un circolo perfetto e interminabile. Lo spazio d’inconsistenza è quella porzione di Tempo che accade negli istanti che precedono il sogno di Notte. La distanza tra le due entità divine. Coincide con i momenti che preludono, per esempio, allo stato d’incoscienza della meditazione, dell’ebrezza. Della follia. Del genio.

L’orizzonte – elevato a simbolo di questo spazio d’astrazione – è alba e crepuscolo. I momenti di cambiamento della giornata, tra il Dì e Notte. Le metamorfosi della giornata – ancora. La membrana che si frappone tra i due mondi – e tra i due corpi, di Notte e Dì. Lo spazio d’inconsistenza è l’ascesi stessa, è l’altrove da cui è possibile vedere e sentire la Verità. Senza le rigide regole del mondo materico né la confusione caotica del turbine. Quando una creatura, un’esistenza, un’entità si trova nello «spazio d’inconsistenza» raggiunge uno stato di consapevolezza assoluta che gli consente di vedere tutto nella sua interezza e disvelarne la vera natura. All’interno dello spazio d’inconsistenza, qualunque entità, guarda e ascolta con il linguaggio della Voce, cambiando con essa e seguendone il metamorfosare.

 

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Qui s’alligna lo Sciamano, il figlio della Voce.

 

Gli Sciamani sono illuminati: esseri fatti di metamorfosi. Sono turbine. Sono tangibili ma provengono dal mondo inconsistente senza Tempo. Sono i figli della Voce: della sua maestosa e riverberante eco infinita.

Mentre le entità del mondo immateriale restano esseri intangibili, pur apparendo come immagini concrete; gli Sciamani, qualunque sia la loro forma e la percezione che se ne può avere dall’esterno, conservano la loro essenza intatta, trasmutandone le sembianze attraverso i mondi e il Tempo; tramite il linguaggio e con la Voce. Lo Sciamano è fatto di Voce e con essa cambia, a causa e grazie alla Voce e con la Voce e per la Voce. Egli vede e sente e guarda e ascolta e canta con la sua vera Voce e richiama, evoca pezzi del turbine nel mondo materico e, viceversa, modella pezzi di tangibile perché somiglino al turbine o ad esso tornino. Alcuni Sciamani possono apparire con le sembianze di una tigre o di un lemure, alcuni preferiscono manifestarsi come foglia o goccia, o roccia millenaria immobile levigata dal grande fiume, per vivere l’esperienza di un’ossessionante carezza acquatica.

Lo Sciamano nasce dallo spazio d’inconsistenza ed è fatto della stessa materia dei sogni e sussiste tra il Dì e la Notte.

 

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Egli conosce il linguaggio e governa la Voce nel canto. Sente nella Notte e getta ombre sull’abbaglio del Dì.

 

Lo Sciamano governa la Voce, canta con sicurezza le note della melodia intonando le parole, nel linguaggio che egli perfettamente conosce. Lo Sciamano canta con la Voce. Lo Sciamano può tutto, ma non solo, potrebbe anche il Nulla. Può evocare tutto ciò che è possibile e anche ciò che non lo è. Per questo lo Sciamano soffre, e sente sulle spalle un peso enorme e inconcepibile al contempo – dunque si dispera per ciò che potrebbe o dovrebbe fare. Egli esiste con una consapevolezza assoluta, che gli rende impossibile la felicità. Egli agogna la contemplazione suprema del silenzio. L’eremitaggio dello spirito. Sente le voci, e riconosce e ascolta la Voce – ogni Sciamano quando sente la Voce deve ascoltare la Voce. La madre. Per questo lo Sciamano appare distratto e svogliato, perso, e spesso può essere scambiato per uno straccio o uno straccione, un viandante trasandato e lordo. Lo Sciamano punta alla percezione assoluta. Può apparire alla stregua di un ubriacone, ma la sua ebrezza lo eleva a un’estasi consapevole e sicura, conscia, cui egli si concede quando è necessario, con la sicurezza di un’anima grande e irremovibile. Un’anima fragile.

 

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Egli compie il gesto che richiama l’amplesso, l’ebrezza, l’essenza di essere. L’orgasmo di Notte – la Verità.

 

Lo Sciamano è un viandante dei mondi. Egli compie il gesto seguendo una delle sette vie. Le sette vie della metamorfosi: la magia, la scienza, la coscienza, l’arte, l’ebrezza, il viaggio e il suicidio. Lo Sciamano – sia che si trovi in forma di corallo o stella alpina, abete o tasso bruno – esegue il gesto. Sia esso la caccia alle allodole, alle streghe o alle stelle. Lo Sciamano esegue il gesto. Sia esso l’impollinazione d’un fiore, la corsa disperata di uno gnu, lo spegnersi e cadere di una stella. Sia esso il canto superiore delle melodie degli altissimi, per accedere al paradiso subacqueo, in un’apnea sempiterna d’ascesi verso il fondo. Sia esso l’amplesso di due corpi transustanziati nella Verità che sta sopra ogni cosa. La Verità – il giaciglio della creazione dove il Dì e Notte riposano, e tra loro uno spazio d’inconsistenza dove risuona la Voce, atmosfera magniloquente del sonno eterno che tutto genera, della durata d’un sogno, tra il Tutto e il Nulla, fino a che Notte non si risveglierà, e il sogno non sarà più sogno.

Andrea Cafarella