Riprese

(tre elaborati sul rapporto tra poesia e tecnologia)

1.
Abbiamo colonizzato il mondo, 
addomesticato le tigri, 
dato un bacio in bocca al nostro aguzzino
e tarpato le ali ad ogni singola primavera aperta. 

Abbiamo così vinto ogni costanza: 
come la tempesta; 
come forse la morte. 
Come la distanza. 
Ed ora che abbiamo tutto il mondo? 
Lo guardiamo dagli schermi. 

Nella nostra fretta notturna, 
un po’ da cane senza tregua, 
abbiamo sempre mirato per non colpire. 
Che con quegli spari
Volevamo solo vedere gli uccelli fuggire. 

Ed adesso che occupiamo i loro rami così spogli, 
ci sentiamo vestiti? 
E se impressionar qualcuno, della vita, 
fosse il solo esercizio? 

Io mi interrogo a volte, 
su come avanza il ghiaccio. 
Che seppur immobile e silenzioso appare, 
strisciando e stridendo fa un rumore
e un caldo
infernale.

2.
Quando le cose
erano ancora rigogliose, 
i monti innevati, 
i mari pieni di spuma
e candidi i sospiri, 
le nostre mani
erano strette strette
e strappavano in guisa
prima i fiori dalla terra
e poi i petali
dai fiori stessi. 

Con sorriso. 

Così, 
immacolato e d’acciaio, 
forse d’avorio, 
pareva il mio respiro. 
Pieno, forte, 
intenso, era anche il tuo. 

Così, 
sembravamo
come chi non sa fallire
come chi non ha fermate
come chi non è mai sceso. 

Però poi pioveva
E pioveva spesso. 
E cadeva acqua nei polmoni, 
nelle scarpe già bagnate
nelle spalline delle giacche. 
Bagnando tutte
le nostre intenzioni. 

Cos’è che ci serviva. 
Cos’è che mi serviva. 
Un quadro? Un colore
Un profumo? Una donna? 
Una scoperta? 
Mi serviva evitare le crepe, 
le parole sporcate di tedio e di pratica. 
Ci serviva evitare la realtà della tecnica infame
La realtà dello stupore e dello sconcerto. 

Ci serviva pulirci dalla polvere
Che fa da coperta, 
e da lucidissimo tumulo
ai poeti. 
E al loro nido di ingenua poesia.

3.
Perché non ci fanno paura
Le macchine che sfrecciano
O l’acqua calda
giù nei mari. 

Perché non ci fa paura
Il frastuono di un aereo che sorvola
O la nostra vita
Fatta di solitudine e telefonia. 

Perché non ci spaventano
Gli ingorghi e i traffici. 
E I messaggi istantanei. 
Perché non ci sconvolge
Questa fretta che ci mangia. 

Qui, 
dove la telecamera
arriva prima dell’occhio, 
e la registrazione
sostituisce la vista
noi, non ci spaventiamo
e non abbiamo paura. 

Perché il trauma non l’abbiamo
Mai visto. 
Ma solo, semplicemente
Ripreso.

 

Nicola Dimitri
 

Nicola Dimitri