Look at the Pictures: la fotografia di Robert Mapplethorpe

La Psychopathia sexualis (edizione originale in tedesco: 1886), fu il primo tentativo riuscito di studio psichiatrico sistematico, quasi "enciclopedico", di tutti i comportamenti sessuali devianti, compiuto dalla medicina ottocentesca. A scriverlo fu Richard Freiherr von Krafft-Ebing. E’ in quest'opera che appaiono per la prima volta parole e concetti oggi correnti nel linguaggio quotidiano come "sadismo", "masochismo" o "feticismo". Lo stesso termine "omosessualità" (sia pure usato in alternanza con altri, come "uranismo") si diffuse inizialmente in Europa per il tramite di quest'opera.
Benché l'autore l'avesse destinata, nelle sue intenzioni, alla sola comunità scientifica, la Psychopathia sexualis ebbe un enorme successo di pubblico, nonostante il fatto che i passi giudicati "scabrosi" fossero stati pudibondamente tradotti in latino. 

A New York durante gli anni 70 si assistette al proliferare di una moltitudine di scene artistiche underground. Oggi ci riesce difficile mettere a fuoco quello che poteva essere quella cultura che si componeva di subculture che facevano della distruzione di tutte le ortodossie il loro credo. Musica, teatro, arte, fotografia, cinema, performance, letteratura, design. Tutto era funzionale all’idea di smantellamento della struttura borghese della cultura istituzionale. E tra queste subculture trovava spazio anche un movimento eterogeneo che si nutriva di pornografia. O meglio portava la sessualità esplicita dentro le maglie dell’espressione artistica. Senza confini. Pensiamo al cinema di Richard Kern: underground? Sovversivo? Antiborghese? Pornografico? Punk? Rivoluzionario? Antisistema? Dentro c’era tutto: artisti musicisti attori hard creativi tutto. Ed era considerata cultura underground. Semplicemente. 

Robert Mapplethorpe muore di aids a soli 42 anni (nell’89). Sfiderà con spavalderia la cultura e  la società americana, incorrendo in censure, clamorose manifestazioni di teocon e infastiditi ostracismi persino delle «checche conformiste» perché porterà fuori dalla clandestinità le pratiche sessuali più estreme del mondo gay. Tutto ciò (e anche qualcosina in più) che Krafft-Ebing aveva elencato nel suo catalogo delle perversioni assume, attraverso l’obiettivo, una perfezione algida, neoclassica, come se i corpi muscolosi che giocano con feticismi, fisting, frustini, latex fossero apolli (e dionisi) di un’agorà greca. E tutto questo lo farà in quel dispositivo culturale che era la cultura underground newyorkese. Dopo, solo dopo, con una devozione infinita, Robert Mapplethorpe entrerà nella cultura mainstream e verrà celebrato come un’icona della fotografia anni ’80.
Probabilmente in Europa diventa molto famoso proprio un paio di anni dopo la sua morte: ad inizio anni 90. A Losanna, al Musée d’art contemporaine FAE, la mostra Mapplethorpe arriva nel 1991. Farà scalpore. Sommessamente però. Alla svizzera. Altrove, come in Italia, in modo molto più rumoroso. Il fotografo era morto da due anni. Di AIDS si moriva molto di più e molto più rumorosamente. 
La mostra esponeva una selezione di tutti i mondi artistici del fotografo: i fiori sensuali, i ritratti, i lavori sui corpi e le scene ad alto tasso di perturbabilità: il ritratto del mondo omosessuale underground 

Ma gli inizi ovviamente non saranno facili. Proprio quelle clamorose manifestazioni violente neocon daranno il titolo al bellissimo documentario Look at the Pictures, che adesso è disponibile in DVD e che a ottobre è stato proiettato per una sera solamente in alcuni cinema. Look at the Pictures è la biografia per immagini e testimonianze del fotografo più amato e odiato della scena artistica USA della fine degli anni 80. E di lui vorrei parlare, prendendo a prestito una bella biografia intitolata Robert Mapplethorpe. Fotografia a mano armata (Johan&Levi editore, 2016) di Jack Fritscher.

Intanto il film, che propriamente è un documentario: c’è infatti poco cinema in questo bel lavoro; poco cinema e tanto intento divulgativo, di approfondimento, quasi didattico. Ed è comprensibile non vi sia nessun tentativo di estetizzare il lavoro visuale: Mapplethorpe era arte, le sue fotografie sono, insieme alla sua personalità controversa, l’oggetto di questo film. E la potenza che ancora oggi ne scaturisce ci fanno ringraziare la coppia Fenton Bailey e Randy Barbato. Il loro film pone i riflettori sulla vita e l’opera di Mapplethorpe senza troppi filtri e senza sovrapporre una propria visione artistica a quella del suo protagonista. “Look at the pictures!” non è un invito da parte dei suoi amici e collaboratori, ma la famosa esortazione del senatore Jesse Helms durante un’interrogazione parlamentare in cui si metteva in discussione la presunta arte di Mapplethorpe, ritenuta mera pornografia a causa dell’ampia quantità di scatti di natura omoerotica e sadomaso. Ed è proprio gettando un occhio ai suoi lavori, al di là di ogni possibile idea aprioristica, che ci si può fare un’idea personale del vero confine tra arte e perversione.

Ed in questo caso, proprio nel tentativo di mettere a fuoco questo confine, ci viene in aiuto la bella biografia scritta da Jack Fritscher: Fotografia a mano armata. Un bel titolo che innanzitutto ci deve far comprendere che le fotografie di Mapplethorpe erano un tentativo di imporre una visione eversiva del mondo e delle sessualità. Ci urlavano addosso “questo è il mio mondo cazzo, ed è proprio dietro la porta, vicino a voi!”. Poche ipocrisie, solo il disvelamento di un universo clandestino abitato in larga misura da persone, uomini, con una doppia vita. E questa doppia vita emerge in tutta la sua deflagrante verità dalle pagine della biografia: c’è tutto, e si comprende bene la totale sincerità del lavoro di Mapplethorpe con i suoi nudi, le sue scene di sesso estremo, che ritroviamo, inedite, nelle immagini di Look at the pictures. Ecco perché i due lavori vanno colti insieme nella loro complessità. La lettura ci guida nella visione, la visione ci sostiene nella lettura.

Enrico Bianda