Visita in studio - Marco Fallani

Immaginate un pomeriggio domenicale, è inverno ma non fa troppo freddo. Subito dopo pranzo c'è un bel sole promettente, tutte le condizioni climatiche sono favorevoli ad una visita in studio. Si parte in automobile, abbandoniamo Firenze super turistica, infernale, ormai corrotta in modo credo irreparabile, per entrare nella splendente campagna toscana che è esattamente come ora voi ve la state immaginando: stupenda, quasi uguale a come era venti o trenta anni fa, non sovraffollata, non inquinata, non rumorosa, insomma una specie di paradiso. 

Al piano terra di una grande e antica villa c'è lo studio di Marco Fallani che è una persona affabile, simpatica, comunicativa, ironica. Mi interessava usare questa sequenza di aggettivi per definire Marco, perché quando entri nel suo studio senti tutta un'altra musica. Si entra in un luogo che offre poche consolazioni. La stanza mi sembra uno spazio collocabile a metà tra un gabinetto per esperimenti scientifici di inizio Novecento ed un rifugio oscuro di qualche personaggio poco raccomandabile.

Su un lato vedo una serie di sculture policrome di teste umane issate su piedistalli metallici: un raggio di sole le investe, i colori vivi non le decorano ma le sfregiano, le rendono come scarnificate, un po' liquefatte, grottesche, paurose perché molto decomposte e zombie. Dall'altra parte ci sono altre sculture, maschere apparentemente più composte e realistiche. Una signorina con pettinatura anni Venti stile Louise Brooks, pelle bianca e rossetto, ma in testa un copricapo assai curioso. Un signore pensoso con gli occhiali, la propria mano come appoggio sotto il mento, un enigmatico simbolo di attesa. Quando le sculture di Marco Fallani aspirano a rappresentare non solamente teste e maschere, quando vorrebbero restituire una fedele forma del corpo, accade qualcosa, un incidente, una mutilazione, una maledizione: non escono fuori mai figure intere, ma sempre lacerti, monconi, corpi parziali, squartati. Ad esempio un torso lucente di smalto blu, attraversato da una fiammante spessa linea bianca, corpo trasformato in decorazione, però inquietante, perchè qui funziona un crudele meccanismo a levare, è quello che non vedi a pesare di più. Non c'è carne, non c'è movimento, manca un' identità, solamente resiste una pulsione verso la decorazione, per segnare figure stanche,  affaticate, catturate da un futuro ancora indecifrabile. 

Anche in pittura Marco Fallani conferma questa carne sempre in dubbio, lavata da piogge abissali, modellata da precisi sortilegi. I corpi espongono la loro materia problematica, risultano pesanti come fossero scolpiti anche quando vengono rappresentati sulla tela, imperfetti perchè viventi.

Carlo Zei (immagini)

Stefano Loria (testo)


Marco Klee Fallani è nato a New York nel 1965. Pittore e scultore, ha studiato in Italia all’Accademia di Belle Arti a Firenze e negli Stati Uniti dove ha conseguito un Master MFA al California College of Arts. Numerose le collaborazioni in ambito teatrale, fra le quali “Lo Specchio” di Luca Ronconi e “Where the Wild Things Are” per il Maggio Musicale Fiorentino. Le sue opere sono esposte in Italia, Canada, Olanda, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Vive e lavora a Firenze.