Montalcino contemporanea: intervista alla galleria La Linea

Perché vale la pena di andare fino a Montalcino per visitare una galleria d’arte contemporanea (oltre a bere un buonissimo bicchiere di vino)? Noi di Stanza 251 ci siamo andati e il risultato è questa intervista in cui Matteo Scuffiotti ci ha raccontato a storia e vocazione della sua galleria “La Linea”.


Matteo Scuffiotti fotografato da Carlo Zei

STANZA 251: Partiamo dal luogo in cui hai deciso di aprire, quattro anni fa, la tua galleria d'arte, Montalcino. Piccolo meraviglioso paese nel cuore della più spettacolare campagna toscana. Perché hai scelto proprio questo territorio, lontano da tutte le grandi città comunemente reputate capitali dell'arte contemporanea? 

MATTEO SCUFFIOTTI: Ho scelto Montalcino per prima cosa perché ero e sono assolutamente innamorato della bellezza di questi luoghi, una bellezza “assoluta” che mi toglie il fiato ancora oggi ogni giorno e che – a mio parere -  per chi sceglie di fare questo lavoro, è tutto, o quasi, tramutandosi sempre in fonte di ispirazione continua.

Avevo inoltre già maturato la convinzione che le Gallerie decentrate rispetto alle grandi metropoli potessero avere di questi tempi una loro propria ragione di esistere, quantomeno per il tipo di lavoro che intendevo ed intendo portare avanti.

Infatti, come avete potuto vedere tu e Carlo facendomi visita, la mia è una piccola Galleria che tratta esclusivamente giovani artisti italiani. La nostra non è certo un tipo di offerta “mainstream” e mai lo sarà, conseguentemente nemmeno il luogo fisico in cui collocarla poteva a mio parere esserlo.

Ultimo ma non meno importante motivo è rappresentato dalla numerosa presenza di viaggiatori italiani e stranieri in questi luoghi; in pratica moltissimi abitanti di tutte le più grandi città del mondo passano da Montalcino, vengono da me senza che debba andare io da loro, e – particolare non di poco conto – lo fanno mentre sono in vacanza, cioè in una predisposizione mentale ideale per la fruizione del bello.

Nello stesso tempo – e quasi ad ossimoro direi – questo luogo non è un luogo “facile” da raggiungere dal punto di vista geografico: in pratica bisogna “volerci” venire, è impossibile passarci per caso...venire a Montalcino rappresenta quindi sempre una “scelta”, e sono quindi a maggior ragione orgoglioso che molti in questi quattro anni abbiano “deciso” di esserci, anche solo per visitare la Galleria, che spero quindi possa essere ormai considerata una delle molte eccellenze che portano qui le persone.

Infine devo ammettere che questo è un luogo fuori dal tempo, o quantomeno fluttuante continuamente in un tempo “sospeso”: una situazione secondo me ideale per fermarsi a riflettere – fuori dal frastuono -  e prendersi la lentezza necessaria alla fruizione delle opere che espongo.

 

S251: Il tuo spazio espositivo si chiama “Galleria La Linea”, un nome suggestivo, astratto e concreto al tempo stesso. Quando lo hai inventato a cosa pensavi ? Facevi riferimento ad una specifica linea artistica oppure, al contrario, è un nome che allude ad una esigenza di libertà? 

MS: La Linea è assolutamente un concetto mentale, che si riferisce alla mia personale visione del “vivere l'arte” e del “divulgare l'arte”, al metodo quindi, più che all'oggetto dei contenuti artistici proposti; infatti, come avete potuto notare, gli artisti che rappresento ed espongo sono completamente diversi gli uni dagli altri sia dal punto di vista stilistico, sia da quello dei rispettivi percorsi individuali di ricerca, però rispondono tutti a quegli standard di serietà, dedizione e talento nel “fare arte” che sono per me imprescindibili, nel contesto di un'offerta seriamente professionale, seppur di emergenti. Gli stessi standard ovviamente li applico a me stesso per quanto concerne il mio ruolo di gallerista.

 

S251: Parliamo adesso di un processo fondamentale (e spesso misterioso) nell'attività di ogni gallerista. In che modo selezioni gli artisti con cui decidi di lavorare. In base a quali passioni, visioni, ragionamenti, li scegli? 

MS: Nel rispondere a questa domanda credo sia per prima cosa necessaria una premessa. A differenza di altre gallerie, io lavoro sempre con la stessa “scuderia” di artisti (salvo lievi e graduali fuoriuscite e nuovi ingressi), un gruppo di persone che stimo professionalmente, ma ancor prima umanamente (requisito per me fondamentale ed imprescindibile). Ritengo infatti che il mio lavoro abbia un senso soprattutto nel seguire e supportare gli artisti nel tempo, seguendone costantemente la crescita e gli sviluppi. Non cerco mai la facile e “veloce” attenzione sulla novità fornita dal turn-over, ma perseguo invece la ricerca di una qualità costante e crescente, legata all'evoluzione umana ed artistica dei singoli.

Ciò detto ritengo che il processo di scelta di cui parli debba assolutamente rimanere “misterioso”, perché rappresenta il risultato di una visione personale ed individualissima dei concetti di arte e di bellezza, che non è giusto né tantomeno utile oggettivizzare in modo alcuno. Posso solo dirti che oscillo ed alterno continuamente (nella valutazione del lavoro artistico) fra la ricerca di potenza espressiva (con l'emozione che ne consegue) e quella di eleganza.

Galleria La Linea fotografata da Carlo Zei

 

S251: In un periodo storico in cui il mercato dell'arte contemporanea è dominato dalle grandi internazionali gallerie-portaerei, capaci di enormi investimenti economici e quindi in grado di monopolizzare l'attenzione di tutti, esiste per le gallerie medio-piccole la possibilità di ottenere una ragionevole visibilità? 

MS: La crisi delle gallerie medio-piccole è una spiacevole realtà da ormai molti anni, ma non credo che le ragioni vadano cercate nel confronto con le “majors”... si tratta infatti di due mondi lontanissimi e raramente comunicanti, e concentrarsi sulle differenze fra i due “format” ritengo sia del tutto fuorviante. Il punto di vista per affrontare questo argomento, invece, va completamente ribaltato, focalizzando l'attenzione sulla figura del “collezionista” o per meglio dire su quello che ne rimane.

Tramontato infatti storicamente ormai da secoli il modello mecenatistico di committenza artistica, l'esistenza e la sussistenza stessa dell'arte e degli artisti si è legato sempre più al cosiddetto “mercato dell'arte” ed alla figura centrale del collezionista, il quale, per una serie di ragioni personalissime, ma soprattutto – credimi - per “amore”, decide di dedicare una parte delle proprie disponibilità economiche all'acquisto di opere d'arte. Il collezionismo di opere d'arte regala un appagamento che è essenzialmente spirituale e che finchè non lo si prova è praticamente impossibile da spiegare. Posso parlare con cognizione di causa di questo perché io sono stato e sono un collezionista, molto prima e molto di più che un gallerista. Infatti ho aperto la mia Galleria perché fosse esattamente come io stesso l'avrei voluta da collezionista e la conduco costantemente pensando ed agendo in una visione da collezionista. Il problema è che i tempi sono cambiati velocemente e che tutto ciò di cui ti ho parlato finora sta letteralmente scomparendo, sia per ragioni di ordine economico, sia – soprattutto – per ragioni di ordine culturale e direi anche “di costume”.

Permettimi al riguardo una breve digressione sulla famigerata “crisi”, che ci attanaglia ormai da più di dieci anni: credo si debbano precisare diverse cose al riguardo. Intanto bisognerebbe avere il coraggio di dire che non è una “crisi” - il concetto stesso di crisi presuppone infatti una parentesi più o meno breve, ma comunque patologica, che per sua natura viene superata per poi tornare ad una fase fisiologica. Mi pare evidente che quella che stiamo vivendo non lo sia affatto, ma rappresenti, a tutti gli effetti, una nuova e permanente realtà economica, con la quale fare semplicemente i conti. Ciò non è necessariamente un male – mentre è senza dubbio un male (morale e psicologico) inestirpabile, continuare a vivere nella speranza inutile che “la crisi” passi, “sospendendo”, di fatto, le nostre aspirazioni di vita “ad libitum”, in attesa di un miraggio di ritorno al passato che non si realizzerà mai. In pratica, quindi, le persone sono moralmente depresse e non spendono (anche ti assicuro quelle che potrebbero assolutamente farlo) perché attendono “ingrigite” tempi migliori che non torneranno più.

In secondo luogo, l'aspetto culturale e di costume: è un dato di fatto che esaurendosi per ragioni anagrafiche le vecchie generazioni di collezionisti, i loro figli faticano a trovare le ragioni profonde che avevano spinto i propri genitori a collezionare. E questo non soltanto per un evidente crisi di valori, conoscenze culturali ed educazione al “bello”, ma anche – e soprattutto direi – per lo stravolgimento in essere relativo al nostro vivere quotidiano. Mi spiego meglio: fino ad almeno venti anni fa, il centro delle relazioni umane, familiari ed amicali era rappresentato dalla “casa”, LUOGO nel quale si ricevevano gli amici, si celebravano i momenti più importanti della vita, si discuteva di politica, sport, letteratura ed arte, mostrando anche – e con orgoglio – la propria collezione agli altri, come una delle cose belle da condividere ed esibire come uno dei traguardi raggiunti. Oggi tutto questo non esiste quasi più: il centro di tutto è diventato uno spazio che non c'è, un NON LUOGO che è rappresentato in generale dal web ed in particolare dai vari social media.

A causa di ciò abbiamo assistito, in un lasso di tempo relativamente breve, alla trasformazione genetica di molti di quelli che “forse” avrebbe potuto anche diventare collezionisti, in nuove figure – ibride e soprattutto sterili – i cosiddetti “Art lovers”.

L'Art lover non invita nessuno in casa, in quanto rifugge dal chiuso delle proprie pareti domestiche  - assolutamente spoglie e prive di qualsiasi opera d'arte – per frequentare in maniera frenetica (ed il più delle volte del tutto inconsapevole) una miriade di mostre museali, fiere, eventi culturali, vernissage artistici di tutti i tipi  - preferibilmente gratuiti e con ricco buffet annesso – e potersi immediatamente “taggare” e condividere sui social quanto fa, per dimostrare al mondo che è un grande amante dell'arte e della cultura, che “fa cose e che vede gente” insomma, per dirlo con una frase di Morettiana memoria. Egli consuma velocemente, senza assimilare minimamente, ciò che i suoi occhi (forse) hanno visto (il suo smartphone di certo) e passa oltre, in un turbine di vera e propria bulimia visiva che lo sazia, sempre, con un like.

In conclusione, io credo quindi che i problemi delle Gallerie medio piccole siano dovuti sia alla fraintesa percezione della crisi economica anche da parte di categorie oggettivamente abbienti, sia alla crisi “esistenziale” della figura del collezionista e non certo alla presenza della grandi gallerie, le quali, invece, si rivolgono ad un collezionismo di altissima fascia che è e resta - per lo più – di tipo speculativo e finanziario.

Al contrario, per l'avvicinamento e la crescita del giovane collezionista, ma anche del collezionista maturo non multimilionario, le gallerie medio piccole (quelle serie) restano essenziali ed insostituibili, svolgendo un ruolo fondamentale e vitale, sia per chi crea arte che per chi ne voglia usufruire in maniera consapevole.  

Galleria la Linea fotografata da Carlo Zei

 

S251: Quali consigli daresti ad un giovane collezionista (forse si tratta di una figura mitologica, ma noi vogliamo essere ottimisti) che si avvicina oggi al complicato mercato dell'arte contemporanea ? Cosa pensi del classico dilemma: comprare per passione o per investimento? 

MS: Credo di aver già risposto in parte a questa domanda con le risposte precedenti, in ogni caso consiglierei al giovane collezionista (per fortuna ne conosco ancora...esistono) di studiare, osservare, stare in silenzio, godersi il più possibile con lentezza le opere, nei luoghi giusti che ancora permettono di farlo, e poi decidere di acquistare da operatori qualificati di cui si fida (fra quelle ovviamente che può permettersi) l'opera che più lo emoziona e che più lo fa stare bene con se stesso, perché è l'unica cosa che conta.

Per quanto riguarda poi il famoso (e falso a mio parere) dilemma fra passione ed investimento, ti risponderò parafrasando il pensiero di uno dei più grandi collezionisti del mondo, il Conte Giuseppe Pansa di Biumo, il quale, in sostanza, sosteneva che se amerai davvero l'arte (in maniera disinteressata) ne sarai anche ricambiato (in termini economici) mentre se penserai di sfruttare l'arte, avverrà esattamente il contrario. Si deve quindi comprare sempre per (consapevole ed informata) passione e non per investimento, l'investimento forse arriverà dopo, e solo come conseguenza di quella passione. Chi pensa il contrario a mio parere farebbe bene a comprare direttamente azioni in borsa.

 

S251: Un progetto che tieni nel cassetto a cui sei particolarmente affezionato, di prossima realizzazione?

MS: Purtroppo (o per fortuna) da quando ho cambiato lavoro ed ho aperta la Galleria non ho più sogni che stanno nel cassetto, ma cerco di realizzarli – al meglio delle mie possibilità – ogni singolo giorno, quindi ti basterà seguire i prossimi eventi della Galleria per scoprirli.

Stanza 251