Tre ricette musicali

Minor Mode Spaghetti

Pomodori e pesce povero, le sarde, azzurro, viscido e brillante, poche lische via la testa e la coda la pinna e dell’acqua corrente. Mentre almeno le campanelle di Albert Heath e dei suoi compagni del Modern Jazz Quartett  suonano Django scritta da John Lewis.
Albert Heath suonava in modo unico, avvicinando la batteria dei suoni modernisti delle prime Big Band allo swing del Be Bop. E così i pomodori secchi tagliati fini quasi a sciogliersi nell’olio saporito delle acciughe e del peperoncino, brillanti e caldi, avvolgenti come una ninnananna che ti culla sulle note del MJQ.
Dolce e acuto, amaro e umido: uvette e sarde piccanti, con spaghetti o trofie liguri, rassicuranti e di ricerca.
Heath costruiva la sua batteria con precisione ed eleganza: ninnoli e campanelle, vecchi tamburi e bongos, pochi piatti rivettati, per un suono distinto e risonante. Il sapore dei pomodori secchi, delle uvette e delle sarde. Resta a lungo sul palato, risonante, avvolgente.
Nell’ordine allora ammollare i pomodori secchi, soffriggere aglio peperoncino e alici sott’olio, unire i pomodori tagliati fini, poi le sarde, mollica arrostita nell’olio d’oliva, uvette e spaghetti alla fine. Django.


Nothin' but the calamari, I suppose

Fai conto di mettere due chitarre acustiche, una batteria con le spazzole, una tromba e un sassofono, un pianoforte e un basso in una stanza, tipo un ultimo piano di uno stabile industriale, la luce entra da vetri parecchio polverosi, per cui l’atmosfera è un misto tra una foresta ombrosa e uno scatolone di cartone. L’aria è quella dello scatolone. 
Si corre con la fantasia, probabilmente si era in un prosaicissimo appartamento middle class con una credenza piena di tazzine da the, ma va bene uguale. Inizio anni ’80, la coppia peggio assortita del pop inglese nasce e dà alla luce Eden, un album acustico in quegli anni inclassificabile. Sarà famoso, o almeno resterà un album del quale parlare, a distanza di trent’anni, ne epocale ne rivoluzionario, una manciata di canzoni gradevoli, tra melanconia e leggerezza, gazzosa e Campari, colori pastello e magliette attillate, ne di moda ne fuori moda, un po’ come la coppia, che non sono mai riuscito a pronunciare in maniera decente, temo: Everything But The Girl. Tracey Thorn e Ben Watt, che ho sempre sperato, per il loro bene, che fossero pure fidanzati, o qualcosa di simile. In quei primissimi anni ’80 compaiono anche come ospiti in Café Bleu, l’album di debutto degli Style Council.
I due sono sempre li, ogni tanto fanno qualcosa, di molto trendy, o di nicchia: serate in discoteche esclusive, dischi di cui parlare bene a prescindere, restando fedeli alla linea, potremmo dire. Ed è probabile che non amino neanche i calamari. Forse i piselli. Sono inglesissimi. Io li accosto volentieri. Con quella musica evanescente e frizzante insieme.
Comunque ecco.
Piselli freschi, se è stagione. Il solito soffrittino di aglio e olio, a spicchi questa volta, due o tre, poi i piselli, sale e pepe e prezzemolo fresco. Lasciar cuocere, ogni tanto magari bagnare con un po’ di brodo vegetale, ma appena. Quando i piselli sono quasi cotti, aggiungere i calamari, possibilmente non quelli atlantici giganti, che sono seppie travestite. Quelli piccoli e morbidi, che cuociono in 15 minuti. Ecco, li avete puliti e tagliati a rondelle, quindi da interi. Aggiungete dicevo i calamari ai piselli, bagnate con un mezzo bicchiere di vino bianco secco, lasciate sfumare e finite la cottura (15’) con un po’ di prezzemolo finale. Dovrebbe risultare un po’ brodosa la cosa. Da servire in una piccola scodella chiara, per vedere il verde dei piselli che risalta.


Spaghetti Doom Metal

Dove sono cresciuto c’era un solo negozietto di dischi alternativo, dove insomma trovare qualche disco interessante. O quanto meno che lo fosse per un adolescente in cerca di novità. Il massimo cui ambivamo comunque erano i dischi dei Durutti Column, per intenderci, niente di estremo. Il negozietto, di cui non ricordo il nome, stava in una stanza in un palazzo della città vecchia a Locarno, in Svizzera, ed era gestito da uno sparuto gruppetto di dark del posto: un emulo di Robert Smith e qualche altro elemento caratteristico dell’epoca. Io non ero proprio come loro, anzi, o forse mi mancava il coraggio, o avevo già sviluppato un severissimo senso del ridicolo. Ma quella parola, dark, continuava ad arrovellarmi. Poi si suonava, cover soprattutto, Metallica, Cure, Smiths, Godfathers, Dinosaur Jr., Eco and the Bannymen, e così via. 
Sono passati 25 anni da allora, e ogni tanto mi scopro ad appassionarmi a suoni e caratteri contigui. Da qualche tempo ad esempio mi incuriosiscono i SunnO))), una formazione abbastanza sperimentale di Doom Metal, californiani, con uno spiccato senso del lugubre, esibizioni in cattedrali nordiche e gotiche (tutt’e due insieme), accostamenti con artisti della scena contemporanea e musicisti jazz interessanti come lo storico trombonista Julian Priester oppure il violinista Eyvind Kang: accordi distorti con delay e flanger “a palla”, tenuti per minuti e minuti, voci cavernose che cantano – forse – in ungherese, mai capito, a dire il vero. Costumi di scena, delle tonache con cappuccio tipo monaco medioevale. Quindi vanno d’accordo con questi spaghetti estivi e nerissimi che propongo.
Due spicchi d’aglio tagliato a fettine fini fini, in olio e peperoncino, qualche cucchiaio di passata di pomodoro, far cuocere e ritirare, lasciar intiepidire.
A parte far cuocere in olio e aglio qualche seppia fatta a pezzi, mettere da parte.
Tornare sul sughetto rosso tiepido e unirvi il nero di seppia, fino ad ottenere una crema nerissima. Aggiungervi gli spaghetti al dente, grattugiare un poco di scorzetta di limone, e prezzemolo tritato. Servire.

Enrico Bianda (testo e immagini)

Enrico Bianda