Quello che adesso sono capace di fare

fotografia di Domenico Caringella

Ho un segreto. Ho trovato il modo si staccarmi dal corpo senza svegliarlo, come Darrell Standing, il Vagabondo delle stelle di Jack London. Con la differenza che quella in cui vivo io non è una prigione - almeno non più di quanto una vita ordinaria possa esserlo - e che questa nuova strabiliante facoltà che esercito all'alba di alcune giornate, non mi consente di viaggiare a piacimento nella storia e nel tempo. Quello che adesso sono capace di fare è solo tornare a un preciso momento della mia vita passata, immutabile, fisso.

Quando è cominciato pensavo che fosse un sogno, uno di quelli che ricorrono senza un'apparente spiegazione, a cui si finisce quasi per affezionarsi e che assomigliano a un'abitudine più che a un'ossessione. Solo in seguito ho realizzato che non si trattava di questo, e che la visione, il ritorno, non erano affidati al caso o al mio inconscio, ma erano il risultato di una premeditazione, l'appagamento di un desiderio. Le prime volte neppure riuscivo a collocare nel tempo l'azione che si ripeteva identica a se stessa ogni volta. Ora invece, so che è una sera di febbraio quella che mi vede ritornare nella stanza di mia figlia. Lei è a letto, ha la sua rivista preferita tra le mani. Non sta leggendo, è distesa su un fianco e dà le spalle a me e alla porta. Io mi avvicino, mi inginocchio accanto al letto e lei si gira, accenna un sorriso, si volta di nuovo verso il muro e mi chiede di abbracciarla, con un tono della voce che quasi mai le ho sentito, più tranquillo e deciso di quello che usa di solito. Poi, ancora senza guardarmi mi chiede se le voglio bene, e è una vera domanda che esige una risposta che non è scontata. Io le rispondo. Lei rimane in silenzio. Vuole che io mi alzi e la lasci da sola, lo so. E è quello che faccio.

Quando è successo nella realtà ricordo di aver sentito una felicità e una malinconia piene, perfette; ma non paragonabili a ciò che provo quando ritorno in quella stanza di proposito, al limite estremo della notte, senza muovermi dal mio letto, sapendo con esattezza quello che accadrà, le parole, la luce del lume sulla mensola, i suoi occhi aperti che fissano un punto indefinito, le due domande una dietro l'altra, separate dallo stesso numero di respiri; l'intera eguale sequenza.

Quando sono sveglio del tutto, di nuovo ricongiunto al mio corpo, se la mattina è luminosa, so che sarà una bella giornata. Diversa da altre, in cui mi ritrovo rassegnato e solitario, eroico e patetico come un parafulmine, senza decidere se devo sentirmi un baluardo o soltanto un'asta di metallo, protesa verso il cielo, in attesa di qualcosa.  

Domenico Caringella