Teste parlanti #2: Simone Lisi incontra le opere di Beatrice Squitti

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Dubbi paralleli

Dubbi paralleli

L'albero dei piccioni

In ombra, vicino alla piscina, hanno costruito una teleferica. E' una struttura in legno per far giocare i bambini che occupa un angolo definito del giardino, l'angolo dove prima c'erano i tavoli di plastica in cui nessuno sedeva mai, quelli lontani dal sole.
Io esco da lavoro e vado in una zona intermedia, non a bordo piscina. Mi metto nemmeno vicino alla teleferica, che i rumori dei bambini disturbano. Sto sotto agli alberi, tra la piscina e la teleferica, dove hanno messo dei finti prati sintetici, sono come dei materassini da yoga, in finto prato, dove le persone possono stendersi, e leggere un libro o riposare, stare un po' all'ombra, non ci va’ mai nessuno.
Io esco da lavoro e mi metto in quella zona, ho raggiunto Diana, che è là da stamani. Dopo lavoro, nelle ore più calde, esco da lavoro che la città ribolle e la raggiungo in piscina, non esattamente accanto alla piscina, in quella zona adiacente, tra la teleferica e la vasca.
Così adesso le zone della piscina sono tre, ben definite. C'è la zona dei lettini, intorno alla vasca. Poi c'è lo spazio verde, tutto attorno, e infine l'angolo con la teleferica, dove i bambini appunto e intorno i cancelli e le siepi.
Gli amministratori di condominio per cui la mia ditta lavora vivono tutti in certe zone del centro. In vie decisamente centrali, in via Montebello, Via dei Cimatori, Tornabuoni perfino, in zone a traffico limitato, in zone pedonali. Così che andare da loro per i nostri postini e corrieri è sempre complicato, si capisce. Io li chiamo e loro mi fanno: lo sai quanto è complicato andare fino là? Loro lo sanno che io non ne ho idea, che vivo nella teoria. Mi hanno chiamato le segretarie e detto: passate. Ho chiamato di rimando i postini che stanno fuori a fare i loro giri.  Al telefono sento le voci delle segretarie e tutto da un'impressione di grande professionalità. Il corriere di nome Franco che passa da loro mi racconta però che pur essendo in lussuosi appartamenti del centro spesso hanno degli uffici umidi, stanno in dei sottoscale, a volte dei seminterrati e solo rare volte, degli uffici dignitosi. Da quando mi ha detto questo, anche le voci delle segretarie che prima mi spaventavano a morte e sembravano molto serie le percepisco come incrinate, come se da un momento all'altro si rompessero, come dei bicchieri di vetro, dei calici.
Tra la piscina e la teleferica. Sotto gli alberi. Tra i pratini sintetici, è la che mi distendo io. In una zona a mezzo sole mezza ombra, dove paradossalmente il contrasto di bianco e nero è più netto. La mia testa appoggia sulla pancia di Diana, sul suo ventre, quella curva che qualcuno meno alienato ne scriverebbe una parole d'amore. Io sto con la testa appoggiata e osservo stancamente la teleferica, i movimenti dei bambini, il movimento che fanno all’indietro, per prendere la rincorsa, e dopo quel loro lanciarsi dalla struttura in legno di poco rialzata, percorrere tutta la lunghezza di un filo d’acciaio sospeso, in quella struttura che ricorda gli sky lift in montagna. Mi ricorda anche una vecchissima storia, un libro che mi leggeva mia nonna quando ero un bambino, di cui non ricordo letteralmente niente, solo che si intitolava: La teleferica misteriosa.
I piccioni hanno scelto un certo albero, è un albero giovane, e non riescono a posarsi davvero. Si appoggiano sui rami, si posano quasi, ma continuano a battere le ali, come i bambini a bordo piscina, che ancora non sanno nuotare, e muovono i piedi e si reggono con le mani al bordo. I piccioni hanno qualcosa di sgradevole, e in quel loro tentativo di posarsi sull'albero vicino alla teleferica, questa sensazione è confermata. Qualcosa che non fa davvero al caso loro, volare, così come il loro muoversi camminando e beccando, con i loro passettini corti. Io posso rimanere a lungo a guardare quel loro tentativo di posarsi, sembra quasi che tentino in un modo poco chiaro di accoppiarsi, su quell'albero e tra quell'albero, che ne sembra estremamente provato, profanato, e anche tutto intorno non è il caso di avvicinarsi troppo.
Gli amministratori di condominio a cui a volte telefono, ma che non ho mai visto, hanno i loro studi nei sottoscala delle vie prestigiose, amministrano i condomini alveare dei quartieri più brutti, quelli con i nomi di regioni. Sono i casermoni dormitorio, al margine nord della città, dove sta molta gente povera, le famiglie numerose. Lavorare le raccomandate e i solleciti è un modo per capire che tipo di povertà c'è là. Non hanno pagato cosa? La luce, il gas, le pulizie per le scale, il guasto all’ascensore, le cassette della posta che sono state divelte dai vandali del quartiere. Un sollecito con ricevuta di ritorno in quelle case e in quei condomini enormi, con i nomi delle regioni d'Italia, in cui io non ho vissuto, ma solo passato davanti, di tanto in tanto, per andare a trovare qualcuno, o in altri paesi fuori città, strade in cui sono è passato soltanto o di cui ho è sentito dire, di cui ho intravisto il profilo di un palazzo passando con il treno, anni fa addirittura quella fidanzata giovanile scambiò il campo nomade per il circo: così disse: guarda il circo! Era solo un campo rom che poi fu spostato altrove, in zone ancora più ai margini della vista, del sentito dire.
A volte penso a quelle case che pure ci sono, in cui invece vivono gli amministratori, oppure alle case in cui hanno gli studi gli amministratori di condominio degli amministratori di condominio, a dove devono essere quegli studi e dove devono vivere loro, in quali palazzi e in quali vie bellissime, in strade che io nemmeno ho mai sentito nominare, in che palazzi dove hanno solo tende di broccato, dove il sottoscala è un luogo che neanche esiste, e quei casermoni e quelle vie con i nomi di regioni non solo non le hanno mai sentite nominare, ma neanche le hanno intraviste un giorno che passavano con il treno.
Gli amministratori di condominio degli amministratori, loro non si possono certo amministrare da soli, questo è certo, nessuno può farlo, c'è di sicuro qualcuno che se ne occupa, qualcuno che li convoca in prima e seconda convocazione, e qualcun altro che scrive raccomandate e solleciti anche a loro, perfino a loro, e qualcuno e di certo qualcuno che quelle raccomandate le va a consegnare e uffici come il mio in cui qualcuno come me lavora quelle loro raccomandate con ricevute di ritorno e nel pomeriggio, perché sono ben voluti dal dio del lavoro e fanno un orario mattutino, nel pomeriggio questi impiegati simili a me, ma diversi, possono prendere le loro cose e andare da una ragazza che li aspetta in piscina, togliersi le cose che hanno indosso, e passare un pomeriggio così, come se dovesse durare per sempre.

Simone Lisi (testo)
Beatrice Squitti (immagini)
Silvia Dal Dosso (camera e montaggio video)
Mapo (musica)