Diario da Sibari

Un progetto fallito

L'idea iniziale era scrivere un articolo sull'unica libreria di Dubai e poi vendere il servizio a Vice. Diventare ricco e famoso grazie a questo articolo. Un piano geniale perché nessuno ci aveva ancora pensato. Sarei andato a Dubai a trovare un ex-compagno di classe trasferitosi là per lavoro, con due vecchissimi amici, di cui uno diventato fotografo. Lui avrebbe fatto le foto all'ultima libreria del mondo nuovo. Io avrei scritto qualcosa di cinico e apocalittico. Avrei intervistato il gestore della libreria, che avrebbe probabilmente avuto le lacrime agli occhi, visto che nessuno entrava mai là dentro. Un bel reportage fotografico condito da alcune riflessioni su come tutto va in malora e l'articolo sarebbe stato pronto. 

Poi però avevo scoperto su google che di librerie, nel mondo nuovo, ce n'erano molte più di una e quindi tutto il progetto era fallito. 

O quasi, perché alla fine qualcosa ne è uscito fuori lo stesso, da quella vacanza a Dubai (detta Sibari, come la città della Magna Grecia famosa per il suo lusso), piccoli testi e immagini che sembrano alle volte parlare di nulla, alle volte alludere a una verità. Ecco qua. 

Partenza

Dei tre che siamo, a partire, io son quello che stai certo non avrà il dentifricio. 

Forse, ma non è detto, lo spazzolino, avvolto dentro a un foglio di cellophan o di stagnola.

Andiamo verso Milano, ascoltando Lali Puna. È naturale. Un mezzo pensiero al mio passaporto, che scade sì nel 2023, ma il bollo annuale, quello no, non l'ho pagato. 

Andiamo a Malpensa, ascoltando Lali Puna. Naturale.

Una mezza ansia da bollo non pagato, è naturale.

Green Parking

Le foreste intorno a Malpensa sono completamente invase di parcheggi. Per otto giorni di parcheggio chiedono 32 euro, Via del Crocifisso, capannoni industriali riconvertiti in parcheggi coperti: tutto è parcheggio, la terra è vasta e parcheggiabile, è fredda e inospitale.

Aspettando la navetta che ci porterà al Terminal 1, qui al Green Park, il più economico dei parcheggi economici, nel boschi di Malpensa. Giusy la cassiera ha una collana fatta a forma di infinito, dentro la casupola VERNICE FRESCA, dentro al parcheggio, non le importa niente della nostra felicità, lei è altro ancora, altrove da questo parcheggio freddo e verde, il più verde che io riesca a immaginare.

Malpensa

Un aeroporto vuoto, superata l'ultima inutile dogana –quindi il mio passaporto senza bollino andava bene lo stesso, quindi tutte le mie preoccupazioni erano inutili; più che inutili: erano dannose, perché infettavano il mio presente, ma ora tutto questo è già lontanissimo– attendiamo davanti al Gate b-12 e già parliamo di un nuovo futuro, di nuovi viaggi, a come faccia bene all'anima partire, andare, malgrado le difficoltà e che manchi un'ora al decollo.

Malpensa #2

Tutti questi cartellini attaccati ai bagagli, in quelli a mano, oppure a quelli in stiva, questi biglietti attaccati, adesso lo capisco, non servono a nulla, ma son come dei talismani, servono a illuderci che i nostri bagagli non saranno perduti, polverizzati, bruciati, esplosi, ma che li porteremo con noi per sempre, forse anche dopo la morte. I nostri cartellini attaccati alle valigie, con indirizzo, nome e cognome, a volte perfino il numero di telefono personale. Ma io, adesso lo capisco, dico così soltanto perché non ho messo nessun cartellino, nessun cartoncino, e avrei voluto e non l'ho fatto.

Gli aeroporti quali luoghi del desiderio

Gli aeroporti quali luoghi del desiderio. Lo ha già scritto Francesco Pecoraro, c'è un'intera letteratura sull'argomento, per quanto riguarda i treni.. Si creano dei giochi, di sguardi, ma sì, ma che me ne faccio io di questa roba? Non sono io, posso pensare, siamo tutti. 

Quindi Flavio? Chi hai puntato?

Ma niente?

Ecch'allà.

Ma si fa per guardare, per ingannare il tempo..

Si creano delle geografie, che mutano, che durano la durata di una fila, di un imbarco, sguardi che si muovono lenti come si muovono le code, così il nostro sguardo, quegli sguardi e quella geografia. Accanto a me Flavio che mi parla di ipotetiche conquiste che farà a Dubai (da qui in avanti chiamerò Dubai, Sibari, come l'antica città della magna Grecia) e di lui che si sveglierà in un castello al mattino, e chiederà alla principessa araba di invitare anche noi, i suoi amici, a pranzo là al castello. Io lo ascolterò distrattamente, continuando a guardare di tanto in tanto l'adolescente che legge con foga una brutta edizione Super Bur.

Dogana

La lunghissima fila al controllo passaporti. Ricordano quelle per entrare in America. Qualcosa dal valore puramente simbolico, come a dire che qui è il presente e non si può entrare così; ma io sospetto sia falso. Si può. Allora attendiamo in file lunghissime o serpentine, che qualcuno ci autorizzi a essere parte, di tutto questo.

Prime impressioni

Le primissime impressioni da Sibari: il caldo, il grattacielo, operai che riposano nelle zone d'ombra. Manuel, il vecchio amico, doveva sbrigare delle commissioni, business, nel quartiere finanziario e noi l'abbiamo accompagnato. Poi aspettato fuori, con le nostre magliettacce puzzolenti, per il volo. Abbiamo assistito al rito collettivo della pausa pranzo, nella City. E l'impressione era di calma, di coccole, di facce rilassate. Nessuna telefonata di lavoro, urlata, come si vede nei film americani. Come se davvero questi privilegiati che fanno lavori concettuali e non costruiscono palazzi di notte e non fanno i giardinieri nel deserto, fossero portati nel palmo della mano. Fossero sicuri del loro status. Possibile? Quasi una compensazione, penserò, un'ammissione di colpa per tutti quegli altri che adesso costruiscono, non palazzi, ma intere città, nel tempo in cui da noi in Italia si costruisce una linea della tramvia. 

Categorie

La verità è che siamo frastornati, che non sappiamo trasportare questo posto a categorie conosciute: un vecchio gioco da tavola che si chiamava Hotel, poi di certo Blade Runner, e concetti astratti quali i palazzi e il tempo. 

I merli

C'era una coppia di merli indiani che hanno cominciato a fischiare, mentre noi aspettavamo il vecchio amico. I merli indiani fischiavano e noi ragazzi del vecchio mondo, e soli, nel quartiere della finanza, abbiamo iniziato a fischiare di rimando e loro si avvicinavano a noi. Poi Manuel ci ha portato al mare e là finalmente capito che si trattava di mare. Smesso di parlare di turbo capitalismo e sultanato, ci siamo lasciati cadere sugli asciugamani, dopo un tuffo in un mare che era mare.

Spiaggia

Abbiamo giocato a beach-volley con dei locali. Manuel negava la possibilità che lo fossero davvero, quanto pakistani o forse egiziani. Comunque non sapevano le regole. Dopo abbiamo fatto il bagnoparlando della musica leggera italiana, abbiamo fatto il bagno nel tramonto sibarita, con le enormi torri illuminati dall'ultimo sole del giorno e noi nel mare caldo e fuori ancora quasi trenta gradi o forse qualche grado in meno. 

Spiaggia, secondo giorno

Sibari. Mi sembra che sveli una verità del mondo. Ma non saprei dire quale. E che questa verità non riguardi soltanto una realtà locale, territoriale, ma qualcosa che si allarga e arriva fino a noi, all'Occidente e al presente intero del mondo. Mi sembra che questo discorso, per esser giusto, vada esteso se possibile ancora, non solo a luoghi esteriori, a luoghi fisici, ma ad altri interiori, personali.

Foto profilo

Sulla spiaggia la ragazze preparano la nuova foto profilo. Una indossa un cappello a tesa ampia, chiara, e anche il costume è chiaro. L'altra ha un costume nero e una treccia. Fanno a turni, le pose sono poi le stesse. Sullo sfondo le gru magnifiche, là dove sorgerà tra qualche mese la più alta ruota panoramica che mai sia stata costruita. Le ragazze continuano a preparare le foto profilo di domani, sullo sfondo le gru altissime e altri bagnanti russi e inglesi.

Verità

Che verità svela Sibari? La povertà, il lavoro, lo sfruttamento, che pure abbiamo noi? Allora qui è forse solo più visibile, tutto è più visibile, la ricchezza e la povertà, il lusso e la miseria del lavoro. Deve essere questo, un fatto di visione, della capacità di questo posto di mostrare, ma forse no, non è neanche questo. 

Conigli

Sui prati all'inglese perfetti irrorati da spruzzi d'acqua ritmici o persone fisiche vi sono liberi che brucano l'erba, dei conigli. Conigli di piccola taglia, come quelli che si vedono nelle case, domestici, in Occidente. Attraversiamo Media City e Noleg city, in direzione del grattacielo a vela, e mi fisso con questa cosa dei conigli nelle aiuole sparti traffico, non riesco più a vedere né un grattacielo né una Ferrari, nel sedile passeggero aspetto soltanto il momento di tornare a vederli, i conigli di Sibari.

Dietro al grattacielo a forma di vela

Dietro al grattacielo a forma di vela c'è una spiaggia dove vanno anche i poveri, anche le persone abbronzate male. Anche qui, in questa spiaggia minore, le ragazze si fanno i selfie. Chi sono queste persone? Sono turisti appartenenti alla classe media del mondo, che come noi hanno camminato verso l'enorme grattacielo e ne sono rimasti fuori, scivolati giusto a lato, al tramonto. Vicino al denaro, dietro ai muretti, dietro alle stuoie e ai divisori, dietro al grattacielo a forma di vela. 

Dubai di notte

Dubai di notte è un altro posto ancora. Non per gli operai che ancora lavorano e certo trovano che la loro condizione sia migliore. Non solo per le strade deserte, lunghe e diritte senza il traffico diurno. Sono i grattacieli che diventano il punto di fuga di ogni sguardo. Non più il deserto e lo spazio vuoto, non più il disco solare, ma i grattacieli di Sibari.

Manuel & Flavio

Giocano a scacchi nel cortile di Motor City. Un gelsomino notturno e il canto dei grilli, come una notte estiva. Fumiamo un sigaro, rubato al coinquilino danese, beviamo un bicchiere di Talisker Dark Storm, possibile che siamo noi questi? Gli stessi del capodanno alle Regine, delle forche in fumetteria, dell'inter rail? Fermati, dice Flavio, di fronte alle mosse che portano Manuel ad assumere il controllo del centro della scacchiera, e di conseguenza, della partita. Fermati, fermati, dice Flavio a Manuel, vai troppo in fretta. E mi sembra che parli del tempo in generale, invece che degli scacchi.

Flavio

Flavio in una vita precedente forse era un indiano. Ha lo stesso busto degli indiani, notavo stamani mentre praticavamo yoga nel salotto di Manuel. Lo stesso sterno e pancia degli indiani visti nei manuali di yoga. Adora il cibo indiano. Si pulisce il naso ai semafori proprio come un indiano. Flavio mentre veniamo via dal quartiere a forma di palma guarda gli indiani dentro ai pullman che tornano alle loro case e ripensa alle sue vite precedenti.

Manuel

Manuel da quando vive e lavora qui a Sibari è cambiato. Sicuro di sé lo è sempre stato. Elegante, anche. Si muove con disinvoltura verso la concierge di un Hotel cinque stelle, poi ci lascia al bar vicino alla piscina, che lui ha un meeting di lavoro. 

Come fai? gli chiedo. Mi dice: Basta che guardi i particolari, e ti rilassi. Vedi là, quello spigolo in cartongesso è sbeccato. Oppure guarda là, quella presa elettrica senza protezione. Fossimo al Four Season o in cima al grattacielo vela, beh, magari sarei più nervoso.

Io ho annuito, ma mi ero talmente agitato che ho avuto un mezzo blocco intestinale, dalla tensione.

(L'acqua costa come il mojito)

Menù

Dopo aver attraversato l'enorme hall, dentro l'hotel cinque stelle rivestito in marmo di Carrara, situato al termine dell'isola artificiale a forma di palma, superate le gigantesche centrali di condizionamento dell'aria, seduti a un tavolino a bordo piscina e altri hotel sullo sfondo, abbiamo parlato del mese che verrà, dei nostri conti in rosso, di come sarà cibarci soltanto di riso e patate.

Tutto questo ha un prezzo enorme

Il simbolo di Sibari, se poi un simbolo si volesse trovare, non sarebbero i grattacieli altissimi, ma i pulmini pieni e vuoti di operai, pulmini che li trasportano dai cantieri alle periferie in cui vivono, e viceversa. Vuoti, se li hanno scaricati, pieni se è finito il turno.

Sono i pullman con gli operai, il simbolo di Sibari. 

Essere esistenzialisti a Dubai (Etre existentialiste à Dubai)

C'è un uomo che piega i miei asciugamanini nel bagno, al centesimo piano, c'è un uomo che piega gli asciugamanini nel bagno, Cristo, è un uomo.

(20 euro un long island)

Libri in valigia

Leggendo Verdi colline d'Africa, ritrovo una scritta che non ricordavo di aver scritto mai: 
“Basta. Questo libro ha chiuso con me”. Oggi il libro lo trovo splendido, perfetto, post-moderno.

Scrivevo quello che scrivevo perché ero contro la caccia. 
Oggi invece le parti che più mi colpiscono in negativo non sono quelle, ma le descrizioni sprezzanti dei portatori di fucili africani. Mi chiedo se domani, o quando sarà, anche queste parti non mi risulteranno del tutto indifferenti.

Visioni

Il miraggio qui a Sibari non sono le oasi nel deserto, ma trovare un parcheggio nel Mall più grande al mondo. Ci sono delle lucine rosse o verdi, a seconda che i posti siano liberi o occupati e allora giriamo nella profondità della terra, dieci piani sotterranei di parcheggi e la totalità di lucine rosse. Il colore della bile dei parcheggiatori.

Michel

Michel il polacco, Michel il maltese e adesso Michel il belga. Insegna in una scuola internazionale. È in società o comanda o ha molto a che fare con il lavoro di Manuel. Ha una moglie fiorentina. Un figlio di nome X. Un'auto Tuareg. Oggi pomeriggio andiamo alla sua piscina, sul tetto.

Pranzi

Ai pranzi a Sibari si parla della città sibarita, della condizione dei lavoratori sibariti, del futuro della città, così come ai pranzi in Italia si parla di cibo. 

Cattedrali

A Sibari, dire cattedrale nel deserto non è un modo di dire.

A Sibari cattedrale nel deserto è come dire: “Ecco qui”

Un Mac nel deserto

Buono, ma soprattutto sano, commenta Walter. Mentre il camionista torna al camion con 5 gelati per lui e i colleghi e un viso sorridente come posso aver avuto io una volta quando avevo non so sei o sette anni ed era l'ora della ricreazione.

Dogana N°2

La frontiera tra Sibari e Oman è gestita da alcuni soldati adolescenti. Sono incaricati di controllare i nostri passaporti, se non che l'arrivo di due ragazze velate mette tutto in secondo piano. 

Alla frontiera tra Sibari e Oman oggi i doganieri si sono innamorati di alcune donne velate, i nostri visti sono scivolati immediatamente in secondo piano, e come dargli torto.

I fiordi dell'Oman

I fiordi dell'Oman, mai visto niente del genere. 

Si stava come a Capri, prima della guerra. Si andava con Mohamed fino in fondo al fiordo, un'ora e passa di navigazione sempre più dentro alla terra, superando di tanto in tanto qualche piccolo caicco, semi vuoto.

I bagni di luce. 
Poi, quando infine non c'era veramente più nessuno, solo noi quattro e Momo, che spegneva il motore e stavamo dentro l'acqua calda, circondati dalle montagne, Momo buttava della roba in mare e allora Flavio l'andava a recuperare e gli diceva: This is not good for the sea. Lo diceva con quel suo sorriso triste e questo fatto non creava nessuna macchia in quel momento, anzi se possibile, vi aggiungeva qualcosa.

Porcile

Il venerdì siamo stati a questo brunch a tema: Puttane e deficienti. Non ci avevano avvertito.
Il nostro tavolo non risultava, poi Manuel montava sù un casino e ne spuntava fuori uno minuscolo al primo piano, dentro a questo sorta di pub pieno di anglosassoni ridotti malissimo. 

Al quinto gin tonic eravamo abbastanza a nostro agio pure noi.

Tornare

C'è una malia che coglie chi si trovi a passare da Sibari o chi viva qui per un periodo della sua vita. Quando riparte o si trasferisce altrove, comincerà a provare nostalgia. 

Delle camicie lavate e stirate da qualcuno altro, per quasi nulla. Del cibo libanese, portatoti a casa ancora fumante, per una cifra irrisoria. Per i taxi sempre disponibili, ad ogni ora del giorno e della notte, sempre per quasi nulla.

Vivere altrove risulterà così ingiusto, sbagliato: Dove sono le mie moto d'acqua?

Venerdì pomeriggio hangover

Chi sono queste persone? 

I poveri?

Quelli con il caschetto giallo?

Non erano loro mai, erano la classe media, gente come noi, che di Venerdì pomeriggio si riversava in spiaggia, che tornava a respirare, che viveva i suoi personali anni '50. 

Sullo sfondo di un tramonto sibarita e le migliaia di moto d'acqua che tagliavano l'orizzonte.

Do you see the yacht? Chiedeva Paul il danese.

E come fare a non vederlo, pensavo.

Ricordi

Girando tra gli ex-container riconvertiti in gallerie d'arte. Nelle ore più calde. 

Ci spingiamo dove è ancora tutto in costruzione, oltre le transenne, dove non è consentito, ma nessuno può dirci niente –mai– tra i cantieri e gli operai pakistani. Alcuni hanno dei secchi giallidei caschi bianchi, altri dei secchi blu e dei caschi gialli. 

Ci sono delle volte che Flavio comincia un discorso, comincia da metà, facendo riferimento a sue esperienze pregresse. 

Ma dove?, chiedo io dopo un po' che lui sta già parlando.

In Turchia, dicevo. Ma non l'aveva detto, o almeno non a me. Era parte di un suo discorso interiore, ininterrotto, che era andato ripetendosi durante la nostra passeggiata nel quartiere delle gallerie d'arte. 

Suonerie

Mentre si andava verso casa dopo il mare, alla radio è partita una canzone di Dire Straits che è anche la suoneria della mia collega napoletana Angela.

Chiara? Tutto a posto?

Sempre lo stesso incipit con la figlia, giorno dopo giorno, dopo quei pochi accordi di chitarra. 

Solo allora mi sono ricordato di lunedì, che entro a lavoro alle nove.

Ho visto il futuro
Saranno state le due ore di fuso, in avanti. 

Ho visto il futuro. 

L'ultima sera a Sibari, fare il bagno in mare, che già era buio, solo i grattacieli illuminati e la musica indiana – buona per trombare le fighe– diceva Walter e un odore di smog e di gelsomini in fiore ci avvolgeva. 

Ho visto il futuro, o forse era solo l'estate.

 

Simone Lisi (testo)

Lorenzo Ferroni (immagini)