"EMANUELLE E GLI ULTIMI CANNIBALI"

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Ecco, ci risiamo con i miei cari "cannibalici", ma questo titolo merita due righe, perchè è una di quelle follie cinematografiche alla "Massaccesi": "Emanuelle e gli ultimi cannibali", datato 1977, è insieme, delirio ed esaltazione del "corpus corporisin". In primis su quello femminile, grazie alla presenza di una Laura Gemser/Emanuelle Nostra Signora dei Sogni più peccaminosi, da sempre musa del cinema erotico di Aristide. Lo confesso, ho un debole per questa Venere di origini esotiche, per quella carica di bellezza e sensualità che emanava ogni volta che veniva inquadrata, mai volgare, anzi, di una gentilezza "incorniciata" da un corpo sinuoso simile a quello di una Dea senza tempo: sapete, quando il cinema non temeva le nudità come oggi, la nostra Laura poteva permettersi di tutto, tanto era brava e di una femminilità rara, elegante, poi, era un'attrice che sapeva giocare con le proprie grazie, su cui era difficile non fantasticarci... Si è capito della mia "infatuazione" per questa bellezza del nostro cinema di genere, ma, torniamo al film, come già scritto, è un'inno al "corpus corporis": secondo la dottrina di un regista sui generis come D'Amato, il suo cinema è sempre una questione di corpi: anzi, sul corpo che, svestito di ogni abito borghese, libero e libertario, come quello della nostra Emanuelle, pronta ad ogni esperienza sul sesso ("fornicatur in corpus esse"). Così, dalla carne al sangue il passo è breve, poi dal sangue si giunge, per reazione, all'orrore, ed ecco che, alla flessuosa e disinibita Gemser/Emanuelle, alla sua rapace sensualità di femmina curiosa nello scoprire il proprio corpo e di scoprirsi, si contrappone l'altra faccia del "piacere", nel raccapriccio da "grand guignol". Da qui l'idea di contaminare l'eros con il "cannibalico": contaminazione contaminata, visto che in questo film tutto è nudo e crudo, "corpus corporis", appunto. Non si sprecano nudità, le scene di sesso sono molte, c'è l'esaltazione (d'estasi negli sguardi persi di piacere della Gemser) del godimento fisico come liberazione estatica, a cui si aggiunge quella giusta dose di morbosità, poi, per risposta, eccoci al delirio più "gore", ma in fondo il gioco e questo. Quindi, come dire, così deve essere, è cosi sia. Amen.

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Ma torniamo al film: Il filo che lega erotismo ed antropofagia è perciò molto sottile, ed è su questo che ho deciso di scrivere su "Emanuelle e gli ultimi cannibali", non tra i film più belli di Joe D'Amato, che spesso "raffazzonava" alla meglio per accontentare la richiesta, ma, diavolo, lo sapeva fare. Non siamo ai livelli di un "Buio omega", non c'è la il mistero arcano de "La morte ha sorriso all'assassino", nemmeno il delirio onirico di "Emanuelle e Francoise: le sorelline", ma, anche nei film meno riusciti, Massaccesi era sempre sul pezzo: sarà che sono un suo affezionato, ma ogni volta che guardo questo "cannibalerotico", anche (se non soprattutto) nei suoi difetti, non so, lo trovo sempre più intrigante, perchè Massaccesi, come ho già scritto, è uno che il cinema lo sapeva fare, da bravo artigiano della macchina da presa e della direzione fotografica, in particolare sapeva tirare fuori la sua genialità, spesso nei "limiti", e persino in questo modesto film, il quinto della serie sulle avventure esotiche/erotiche della nostra Emanuelle nera (serie apocrifa nata sulla spinta del successo dell'originale francese), ci sono momenti davvero interessanti.

La storia del film è la solita, nel senso che non riserva sorprese che già conosciamo, con la nostra bella reporter, che si ritroverà, ad essere testimone diretta di un caso di antropofagia in un manicomio di New York. L'inizio promette già bene, ed è sfacciatamente alla "D'Amato": una giovane infermiera viene brutalmente azzannata ad un seno da una donna, che poi scopriremo essere legata ad una antica tribù di cannibali, i Tupinanba. Già qui c'è la premessa (mantenuta) che il film merita di essere visto, e difatti, la nostra Venere decide di partire, insieme ad un antropologo (Gabriele Tinti, suo partner in tante avventure cinematografiche e compagno nella vita), per l'Amazzonia, alla ricerca delle ultime vestigia di questa tribù di mangiatori d'uomini. Ai due si uniranno una suora missionaria ed una coppia di "strani" avventurieri (interpretati da Donald O' Brian e da una piacente Susan Scott). Non sto a spoilerare, ma il film vale più nella forma che nella sostanza: visto che la forma non mente, il regista riesce a creare qualcosa di impensabile, ricostruendo una fittizia Amazzonia nei pressi di Roma, talmente "farlocca" da apparire più che credibile. Va ribadito, poi, che a differenza dei "cannibalici" di Deodato, D'Amato gioca sulla falsariga: dove Deodato premeva nell'efferatezza come riflessione sociologica, D'Amato se ne frega dei discorsi per orchestrare un piacevole gioco al massacro, senza esclusione di colpi. Il film diventa così un'avventura di carne e sesso, dove al piacere "disinibito" di corpi che copulano come se non ci fosse un domani, sulla bella colonna sonora di Nico Fidenco (da menzionare, anche un approccio saffico tra la Gemser e la Monica Zanchi, in un laghetto che di tropicale non ha proprio niente, con le nostre ragazze nude, in acqua, per poi scoprire che questo angolo di Amazzonia è la cascata di Oriolo Romano: ma di questo non c'è ne importa una mazza, anzi ci piace l'idea, siamo stregati dalla loro intimità, interrotta dall'arrivo di uno scimpanzè, tabagista, intento a scroccare sigarette alle due ragazze!!!, Solo questa scena, tanto assurda che puzza d'avanguardia, ci fa gridare al "miracolo", anche perchè, che cosa ci fa mai uno scimpanzè in Amazzonia?). Ed ecco che, a tutti i "formicamenti" del caso, si arriva all'orrore più selvaggio, quindi dalla carne del sesso si arriva alla carne da papparsi, con l'entrata in scena dei nostri cari antropofagi, talmente "arrapati", che hanno come primo obbiettivo di stuprare le giovani punzelle e di divorarsele. Così, il raccapricciante prende il sopravvento, con scene fortemente disturbanti: Il "gore" abbonda, così come gli "effettacci", perchè ci troviamo in un film di D'Amato, quindi è d'obbligo che nell'eros si innesti l'orrore più carnale, con tutta la morbosità tipica di un prodotto come questo: oltre ad attacchi di animali feroci, serpenti e quant'altro, si va giù di torture, ammazzamenti, seni tagliuzzati, sventramenti ed evirazioni, di violenze orgiastiche, stupri collettivi e chi più ne ha più ne metta... Arrivando anche al povero 'O Brian segato a metà, con un effetto che (ahimè) grida pietà per quanto è poco "realistico"...

(fonte immagine:cinemaestremo.wordpress.com)

Ma siamo in un film di Joe D'Amato, quindi ci stanno certe cose: anzi, sono proprio queste, che ci inebriano, perchè siamo attratti da quell'aurea maledettamente “trash”... I difetti, come detto, sono vari, ci troviamo davanti ad una pellicola realizzata per seguire l'onda di un genere di successo che aveva molto eco all'estero, ma la commistione del cannibalico con il softcore funziona, l'idea è talmente delirante da piacere, poi, il buon Massaccesi sapeva il fatto suo, ed anche con gli avanzi riusciva (quasi) sempre ad imbastire qualcosa di decente. Se poi, tra un massacro ed un altro, nel delirio di una tribù di simpatici mangiatori di frattaglie umane, si vede la nostra Emanuelle/Gemser concedersi e concedere le proprie grazie, cosa vogliamo di più?



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Raffaello Becucci