Pari e patta

fotografia di Carlo Zei

Il tipo grosso si gratta la nuca, ha i capelli corti sotto e un po' più lunghi sopra, senza sfumatura. In grembo ha una mazza da baseball. Sul sedile del passeggero l'altro tizio, magro scavato occhi neri, si stringe nella giacchetta come se avesse un brivido, ma non ha freddo, è nervoso. Anche lui ha una mazza da baseball, ma la tiene tra i due sedili davanti, non la tocca. Il tipo grosso la gratta che sembra quasi accarezzarla, come se da un momento all'altro dovesse fare le fusa. Sono in macchina in un vicolo da più di due ore, non hanno mangiato e il tipo grosso comincia ad aver fame. L'altro no. L'altro ha solo brividi, e ricordi alla rinfusa sparsi dentro la testa e vorrebbe scacciarli con la mano come si fa con le mosche d'estate, ma non può. Non può proprio. Allora si fa un'altra riga di coca. Il tipo grosso si serve anche lui. È un esattore di uno spacciatore e recupera i crediti con la mazza da baseball. Quello magro è fuori dal giro da diverso tempo. È sposato e fa il gommista, è un tipo serio ormai. Un paio di anni prima una gomma di un camion gli è esplosa vicino, lui è rimasto un po' sordo. Da allora prende una pensioncina di invalidità. Una settimana prima il tipo grosso lo ha chiamato. Doveva riscuotere dei soldi da un tale, e il tale si chiamava preciso come un altro di cui quello magro una volta gli ha parlato. Una volta sola, a notte fonda. Ma il tipo grosso si ricorda di tutto, è uno preciso. E ci tiene agli amici. E allora ha chiamato quello magro. Anche se non si sentivano da un po'. Anche se quello magro è fuori dal giro. La macchina ha il motore acceso e i fari spenti. Fuori fa freddo. Tutte le volte che qualcuno passa dal vicolo il tipo grosso aguzza la vista, non si vede granché ma lui ha l'occhio clinico, è abituato alla caccia. Il tizio magro non parla, e allora sta zitto anche lui, si limita a guardare e aspettare. La pazienza fa parte del mestiere. A volte pensa che dopo tutti quegli appostamenti non sarebbe male come poliziotto, con le manette al posto della mazza. Quel pensiero lo fa quasi sorridere, poi sparisce nel vuoto. Il tizio magro si sente un po' riemergere dal buio come quella volta che era in overdose e si sentiva sprofondare e poi quelli della croce rossa gli fecero il narkan in vena e disse che cazzo basta, è l'ora di finirla con questa vita di merda e se ne andò in comunità. Si sente riemergere un po' quasi come quella volta, mentre il tipo grosso lo scuote per il braccio e gli dice ci siamo e di mettere su il passamontagna. Uno alto e ingobbito caracolla per il vicolo, sicuro è ubriaco o fatto, e altrettanto sicuro ha debiti con quelli sbagliati e sapeva anche bene che con certi tipi i debiti è meglio non farli, ma si sa come sono i tossici, comunque ora sono cazzi suoi. Il tipo grosso e quello magro con la faccia scavata si calano i passamontagna sul viso e escono con le mazze in mano. Il fattone non sembra vederli nemmeno nella penombra, chissà dove ha la testa, fino a che non gli sono praticamente davanti. Quello grosso gli molla una mazzata nel petto che lo fa stramazzare, è a terra che rantola, quello grosso gliene molla altre due nelle gambe stretto e preciso, sembra un chirurgo, un chirurgo con la mazza. Quello magro sta fermo fino a che quello grosso non lo guarda come a dire ma che cazzo ci sei venuto a fare fino a qua se non fai quello che devi fare. Il tizio magro lo guarda a sua sua volta da dietro la lana del passamontagna e poi si china e parte all'attacco, prima con la mazza e poi con i calci, il rantolio del tossico sparisce sotto il rumore delle botte, nessuna finestra da sul vicolo e comunque in questa zona nessuno chiamerebbe la pula, qua ognuno si fa i cazzi suoi e questo è un lavoro pulito, ordinaria amministrazione per quello grosso. E infatti quello grosso tira via quello magro, ma che cazzo lo ammazzi, gli dice con un tono monocorde da impiegato. Il fattone è coperto di sangue, sputa tossisce e arranca, lo hanno conciato proprio di merda, fai quello che devi fare, dice quello grosso a quello magro. Quello magro si china sul tossico e lo gira e lo prende per i capelli impastati di sangue e si toglie il passamontagna e lo guardadritto negli occhi pestati e ti ricordi di me, gli ringhia tra i denti. Il tossico non dice nulla e quello magro gli dice in riformatorio ventuno anni fa e lo colpisce ancora in faccia con un pugno e lo gira di nuovo. Si fruga in tasca e scatta un coltello e taglia i pantaloni incrostatati del tossico. Si sgancia i suoi e ne esce un'erezione tenuta su dall'odio e dalla roba e si cala un preservativo sull'erezione e fa quello che deve fare. Pensa un po' se infierire con il coltello ma il tipo grosso lo scuote per un braccio e gli fa cenno di andare. Lasciano il tossico a pancia in giù tra i bidoni, sembra quasi un barbone che dorme, o svenuto. Salgono in macchina e filano. 

Filippo Rigli