Era lei

Presi l'autobus per un pelo. La collega a darmi il cambio era arrivata precisa. Aveva cominciato a piovere proprio mentre salivo sul mezzo. Me lo ricordo bene. Quando piove il traffico si infittisce, non ho mai capito perché. Feci defluire la gente che scendeva e mi misi seduto. Ci sprofondai, su quel sedile. Avevo fatto il turno di notte e morivo dal sonno. Chiusi gli occhi. Probabilmente mi addormentai. L'autobus era quasi vuoto. La pioggia batteva sui vetri. Era fine però era gelida. Me lo ricordo. Se ci penso sembra ieri. Avevo i brividi e un dolore tra le scapole. Ho la febbre, pensavo. Avevo la testa pesante, e non era solo sonno. A quello c'ero abituato. Era il malessere sudaticcio che ti prende quando ti ammali. Riaprì gli occhi mentre entravamo in una via lunga stretta tra due mura esterne, senza portoni né negozi che si affacciavano, come una specie di budello. Cioè, in realtà un portone c'era. Uno di quelli alti tre metri, l'androne di non so quale ufficio. Lei era proprio lì. Davanti alla fermata del bus che faceva la corsa opposta alla mia, proprio davanti al portone. La vidi di sfuggita, con la coda dell'occhio. Ma ero sicuro. Un illuminazione. Altre volte avevo pensato di averla vista. Da quando era sparita l'avevo cercata in lungo e in largo. Era come sparita nel nulla. Amici, parenti, nessuno di lei sapeva più nulla. Poi mi arrivò una telefonata nel cuore della notte. Non cercarmi più, mi disse. Aveva una voce fredda, senza emozioni. Riattaccò subito. Cercai di reagire, di farmene una ragione. Cambiai lavoro, mi trasferii in questa città dove non conoscevo nessuno. Volevo stare solo con il mio dolore. E ora lei era lì. Non mi passò neanche per la testa di essermi sbagliato. O che stavo delirando per la febbre. Mi alzai di scatto e urlai all'autista di fermarsi. Fece cenno di no con l'indice, senza nemmeno girarsi. Corsi verso di lui e lo presi per il bavero. Ferma questo bus di merda gli urlai e stavo per colpirlo, inchiodò e apri le porte. Scesi mentre quello e i pochi passeggeri mi insultavano, le macchine in coda suonavano i clacson, sai quanto me ne poteva fregare, l'autobus era avanzato di un centinaio di metri, li feci di corsa. Era lei. Era lei. Aveva i capelli corti e tinti di biondo e non portava più gli occhiali, era smagrita e con le occhiaie. Aveva anche delle lenti a contatto azzurre. Ma era lei. Stava guardando la strada. Aspetta l'autobus, pensai. Si girò, mi vide, mi riconobbe.  Rimanemmo così. Lei era turbata. Scosse la testa, sgranò gli occhi. Probabilmente avevo già smesso di sorridere quando il botto per poco non mi assordò. Mi girai di scattò e vidi l'autobus dove ero io che stava bruciando. La gente cominciò a scendere dalle macchine e a urlare, mi travolse. Lei si incamminò contro la corrente rasente il muro. Cercai di attraversare la folla per andarle dietro, ma una seconda esplosione mi fece perdere i sensi. Non la vidi mai più. Cadde in uno scontro a fuoco con la polizia poche settimane dopo.

 

Filippo Rigli