Amore urbano

fotografia di Irene Ottanelli

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Adesso che sono allegramente solo, voglio cancellare tutte le malvagità di cui mi fatto dono il mio nero amore. Desidero momenti di mitezza e tremiti, come un povero orfanello. Dovrei cercare la mia piccolissima casa sul ciglio della strada dove rinchiudermi e abbandonarmi tra le calde braccia dell'oblio blu, prima che giungano le eclissi solari o il tramonto.
Finalmente non mi sveglierò più con la sensazione di essere uguale a zero, lei a riempirmi col suo disastro quotidiano più infrangibile di un pugno morto. Non ci riesco. Non riesco più strofinare i miei sogni sul suo corpo nudo e in lutto.
Non è altro che un piccolissimo disastro, ma più drammatico dell'era glaciale. Forse per i bambini i dinosauri non si sono ancora estinti, come i soldatini di piombo o le lucertole. Voglio stare da solo, dopo di lei voglio stare solo. Forse dovrei semplicemente andare a vivere tra le bestie. Trascorrere  il mio tempo con gli animali.
Il 22 marzo è un'eucarestia. Arriva la primavera. Sergio cammina sul Lungarno dei Pioppi riflettendo retrospettivamente. È sollevato all'idea di non doverla incontrare mai più. Massa fecale solida di forma cilindrica. Si siede su una panchina e guarda le automobili sul viale. A lei piaceva così tanto il traffico. Ma quale malata di mente può amare il traffico?
E poi fatalmente il cellulare squilla. Sergio osserva il display.
Ah... Quindi è ancora viva! Vaffanculo, vaffanculo!

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Esistono tre tipi di donne:
1) quelle introverse,
2) quelle estroverse,
3) quelle equilibrate.
Ma poi, come sempre, sfortunatamente, c'è Nunù, il quarto tipo, quello stronzo.

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Un posto dove Nunù amava rilassarsi era il Parco San Donato, stritolato tra Viale di Novoli e il palazzo di Giustizia. Mi ci portava il tardo pomeriggio o la sera, le piaceva inalare gli sbuffi acidognoli del traffico, guardare il tramonto liquefatto nel metano, spiare i palazzi tutti uguali tutti uguali tra loro in questa fine urbana del mondo. Si sedeva sulle panchine e sospirava col suo romanticismo rovesciato. Poi guardava compiaciuta i graffi che mi aveva fatto durante i suoi rumorosi amplessi. Una volta, vedendo i papponi che cominciavano a scaricare le puttane su Viale Alessandro Guidoni, mi chiese:
«Come è stata la tua prima volta?»
Le raccontai che stavo girando in motorino come un Flaner d'altri tempi soprattutto per via Enrico Forlanini e c'erano queste ragazze mezze nude che facevano ciao ciao con la loro mano, gettando la gamba fasciata da calze a rete in mezzo alla strada e così solo per curiosità mi fermai da una a caso, non avevo scelto una in particolare, era solo quella che mi sembrava la più triste e la più sola, mi fermai solo così tanto per sapere quanto volesse e quella, una ragazza dell'est di nome Polina, mi confidò che cinquanta era un prezzo ragionevole e che se avevo un casco potevamo andare a casa sua.
Mi ritrovai in questa stanza al piano terra, con le veneziane gialle chiuse e un letto rifatto senza amore. E Polina, sedendosi sul letto e tirandomi leggermente verso di sé, mi chiese con aria da teenager se poteva cominciare.
«Posso cominciare?»
Senza che le rispondessi nulla, semplicemente guardandomi negli occhi, mi accarezza e mi rendo subito conto che non mi si rizza. Lei mi sbottona i pantaloni e mi tira giù le mutande e comincia a farmi il solletico sul perineo. Ma l'unico effetto che ottiene è quello di...
«Aspetta aspetta – mi interrompe Nunù coi suoi occhi di ghiaccio – ho sentito questa storia un sacco di volte. Poi te la sei scopata e lei è venuta, sei riuscito a far venire una puttana la prima volta che facevi sesso. Non sei il primo. È una vecchia storia a cui voi maschi abboccate sempre. Le troie fanno finta, non lo sapevi?»
«Ma vaffaculo – le intimo infuriato – vai proprio a fanculo»
«Dai su – con occhi divertiti – non ti arrabbiare, è solo che non sei proprio molto intelligente»
«Fottiti»
«Guarda che lo dico perché sono una persona sincera, non dico mai le bugie»
«Ma guarda sta stronza» Voltandomi da un'altra parte a caso.
«Ecco sì – sbeffeggia trattenendo le risate – sei proprio scemo, ma di sicuro hai una qualità, l'unica che io abbia trovato fino ad adesso in te: sei una persona sensibile» 
Poi dopo alcuni minuti in cui pondera silenziosamente:
«Hai presente i ritardati mentali?»
«Che vuoi da me?»
«Ecco loro, i ritardati, magari non ci capiscono nulla, non riescono a fare collegamenti logici fra le cose, però hanno un certo Shining, come nel film, hai presente il film?»
«Vaffanculo»
«I ritardati – mi spiega con la sua migliore aria da maestrina – non capiscono le cose, ma hanno una visione emotivamente molto chiara di quello che sta accadendo intorno a loro, terribilmente lucida ma solo emotiva. Una specie di luccichio da ritardati. Ecco tu sei così, hai lo Shining degli scemi»
«E inevece te hai tutto il mio odio con il cuore, sinceramente!»
E me ne andai via, lei che rideva là seduta su una panchina, il sole liquefatto nel metano. La sentivo anche fuori dal parco, mentre le automobili suonavano i clacson ed io attraversavo ad occhi chiusi la strada.

Ferruccio Mazzanti