Il buio si avvicina - Jan Fabre

Il buio si avvicina. Questo ti posso dire dal mio punto di vista privilegiato, quello di uno spettatore sempre collocato ai margini, sempre confinato in uno spazio vuoto, prigioniero dentro una terra di nessuno, mi sembra di abitare continuamente una mancanza, un'assenza, e proprio per questo, abituato al deserto, leggo i segni di un lenta ma inesorabile caduta. Entrando in galleria ho guardato la prima opera che ho incontrato e subito ho fatto il confronto più meccanico e banale, quello con il teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst (è il demone dell'analogia che dispiega la sua forza). Nell'opera di Hirst è il delirio economico a dettare legge, i diamanti mi sembrano alludere al peso delle transazioni economiche intorno al globo, instancabili, splendide, super resistenti, e le pietre luccicanti finiscono per simboleggiare la supremazia del Valore sulla Morte, trasformando tutto in un allegro carnevale pop (ma possiedono anche una freddezza geologica che mantiene quel tono cinico tanto caro all'artista inglese, come se dicesse: qui la vita non c'è mai stata).

I teschi di Jan Fabre – tutti costituiti dalle iridescenti corazze di coleotteri – sono fatti di una preziosità di natura molto diversa: essendo costituiti da resti ormai privi di vita ci mostrano il risultato di una perdita, indicano una Fine assai più vicina e preoccupante per chi osserva. Inoltre Fabre è uomo di teatro, quindi il teschio da solo non può bastare, bisogna metterlo in scena, di volta in volta fargli recitare una storia che ci spaventi in modo differente. Mi porge una frusta (quasi una promessa-conferma di dannazione) oppure tiene in bocca un uccello strappato al suo volo, immobile e mortificato. Ma il teschio forse più suggestivo è quello che porta incastonate tre pesanti chiavi che serviranno – ovviamente – ad aprire i cancelli del nostro inferno personale. La narrazione è forte ed esplicita: seguiamo le tracce di un Cavaliere Notturno in avventura. Le sculture sono armature (sempre realizzate con i coleotteri) dalla doppia funzione: corazze per difesa ma anche calchi di parti del corpo, quasi a scomporre l'unità vitale in dettagli di rara bellezza ma inutili, raggelati. Sulle pareti leggo brevi ma importanti frasi dell'artista che ribadiscono l'ossessione per la tradizione cavalleresca. 

In ogni caso l'attacco non verrà da un nemico esterno, ma da una malattia ardente dimenticata nel profondo della nostra identità. Per comprendere il pericolo con cui siamo obbligati a confrontarci basta scendere poche scale ed entrare in una sala sotterranea, qui il breve film Lancelot spiega tutto. Protagonista assoluto è un cavaliere medioevale - Fabre stesso calato dentro una lucente armatura- impegnato in una dura lotta solitaria, chiuso in una cripta densa di ombre, sta combattendo contro non si sa cosa, forse contro se stesso, in una verosimile accelerazione di fatica, colpisce il nulla con la spada, con il respiro che diventa affannato. C'è un sofferto spreco di forze, disperazione, capitolazione finale. Ogni gesto è circondato da un senso di minaccia, vago e misterioso, ma non per questo meno inquietante. 

Mi hanno folgorato la nettezza del disegno mentale e la chiarezza delle realizzazioni di questo artista. Mi ha stupito il dettato cavalleresco declinato in una deriva continua, in una dissipazione non controllabile, come a custodire il senso ultimo delle opere dentro un flusso di perdita poi miracolosamente concretizzato nella bellezza degli oggetti, nell'eleganza dell'orizzonte scandito, nell'assoluta aderenza di questo percorso a nessun tempo nostro contemporaneo. Arrivato all'epilogo di questa avventura mi sono trovato intrappolato dentro una magia di carattere teatrale. Gli eventi di cui sono stato testimone – metamorfosi dei corpi, pericoli, violenza, morte e ritorno in scena - sono svaniti in un facile soffio. Tanta passione sprigiona alla fine una vertigine del mai accaduto. In tale paradosso trionfano le rappresentazioni di Jan Fabre. 

Jan Fabre, Knight of the Night, galleria Il Ponte, via di Mezzo 42/b, Firenze. 

www.galleriailponte.com

 

Stefano Loria (testo)

Carlo Zei (immagini)