Orrore sulle colline

24 marzo

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Alle prime brezze di primavera, i sacchetti di plastica si levavano in volo come uccelli bianchi. Erano stati in letargo tutto l’inverno, bloccati dal fango o dal gelo. Ma ora salivano in aria e poi sbandavano per le colline incontaminate che dominavano la città.

C’era della bellezza, in quell’orrore.

Angelo bevendo il caffè che avrebbe dovuto riportarlo tra i vivi guardava dalla finestra.

I cofani delle macchine brillavano in fila sulla collina di fronte, erano una linea incandescente nel verde. 

Più o meno il risveglio dei sacchetti coincideva con la crescita degli asparagi selvatici, che Angelo cercava avidamente. Per mangiarli o rivenderli a peso d’oro a dei tipi inariditi dalla ricerca spirituale, quando non era costretto a portare il sapere in qualche scuola, superiore di nome, inferiore di fatto.

I falchi tornavano, con le ali immote a picco sulla campagna.

I sacchetti volavano.

I motociclisti sfrecciavano dementi sulla intercollinare.

Eh sì, a volte aspetti delle cose per una vita intera, e quando queste alla fine si realizzano sul serio ti rimane addosso una strana sensazione, una gioia che è anche un senso di vuoto. E’ davvero strano.

Quella mattina di marzo, per esempio, quando il motociclista ronzante come un calabrone sulla curva venne incappucciato da un sacchetto bianco, uscì di strada e sparì tra gli anemoni del campo, Angelo non esultò. Nonostante dopo pochi secondi avesse sentito il botto.

Insieme a quella gioia semplice, genuina, del motociclista schiantato, fu preso da un disagio, quasi dal senso di colpa. Anche se lui non c’entrava nulla.

Al limite era la Madonna.

Comunque doveva sbrigarsi perché era in ritardo.

Andare a scuola nella conca della culla dell’arte era scendere all’inferno. Teneva dei corsi di scrittura creativa nelle scuole superiori. Da dicembre a aprile andava in ventiquattro scuole diverse. Nessuno che andasse in ventiquattro scuole diverse poteva credere nella democrazia. [...]

All’Istituto numero uno ci volevano mezz’ore per trovare un’aula diponibile. L’edificio era grande e nobile, pieno di statue e muri cadenti. Le scolaresche si dedicavano alla transumanza nei corridoi, dato che la preside aveva pensato bene di risparmiare sulla pianificazione delle lezioni (negli anni precedenti affidata a un apposito esperto) e allora aveva fatto tutto lei, aveva preso carta e penna per farglielo vedere.

 E indubbiamente si vedeva. 

L’ora veniva impiegata più che altro nella ricerca del luogo e nelle contese verbali o violente con altri pretendenti. E questo era senz’altro la metafora di qualcosa.

 I ragazzi non erano normali. Un giorno non lontano si sarebbero trasformati in votanti.

Però c’era un gruppetto di ragazze volenterose, alla fine avevano capito che dovevano cercare di concepire un personaggio con caratteristiche precise. 

Una ragazza esilissima e verdognola gli chiese: quanto è alta e quanto pesa una persona di mezza età?

Un’altra, la compagna di banco: quanti soldi ci vogliono, a un evaso, per la droga e per l’albergo?

E queste erano l’elite.

Un’altra faceva la calza, il gomitolo di lana in terra. 

Una vietnamita trapiantata in Chianti si truccava per ore, fasciata in vestiti trasparenti.

Un’altra, grassa, brutale, sbilanciata dai brufoli, berciava come una pesciaiola medievale appena scaricata lì dalla macchina del tempo, sputava parole di un linguaggio incomprensibile.

Erano tutti incontinenti e affamati. Sognavano cessi e panini.

Un ragazzo enorme, in fondo alla classe, percuoteva il banco per ore con le impressionanti manone. C’era di buono che almeno non si muoveva mai dalla sua postazione, al contrario degli altri. Il banco lo usava tipo tamburo tribale.

Eh sono ragazzi vivaci, disse sorridendo in modo distorto la professoressa sempre stanca. Spesso Angelo la vedeva con gli occhi sbarrati al bar della scuola. Guardava fisso davanti a sé, altrove, persa in qualche sogno tropicale o apostolico. La professoressa disse che la lezione frontale non funzionava, era superata.

Però la lezione frontale era andata benissimo per il motociclista.

Alla fine la gamba del tavolo percosso dalle manone si staccò. E allora lo gnomo livido che gli stava accanto la prese e senza nessuna ragione comprensibile la tirò sulla testa di una ragazza che cominciò a sanguinare.

Si credevano tutti intelligentissimi.

Nessuno conosceva Stanlio e Olio.

Era finita. Basta. Altro che portare il sapere. Non bisognava portare niente da nessuna parte. Molto meglio non farlo, a parte che era impossibile.

E’ l’ora, pensò. E’ giunto il tempo. Il momento di ritirarsi in qualche avamposto fortificato e alzare il ponte levatoio.


 26 marzo

Cacciavano i ghiri con gli spiedi. I ghiri erano buonissimi, succulenti, succosi e teneri, anche se lui non li aveva mai assaggiati. La legge in teoria prevedeva che uno non li cacciasse, erano protetti, per così dire. Ma Angelo, Ugo, Mario e Mikailov erano di aperte vedute. Ad Angelo, che aveva sempre destestato i cacciatori, le vedute gliele avevano aperte le difficoltà monetarie. I ghiri riuscivano a venderli anche per trenta o quaranta euro l’uno, a seconda. 

Funzionava così. Angelo tornava da scuola stravolto, dormiva un po’ e poi si precitava nei boschi con l’allegra compagnia. I ghiri li trovavano nelle cavità degli alberi, soprattutto querce. Bloccavano tutte le uscite possibili, se ce ne erano, e poi dall’alto li infilavano con lo spiedo.

Mikailov aveva portato un forcone. 

Ma che fai, gli disse Mario, che nonostante fosse un pittore se ne intendeva perché suo padre era stato veterinario da quelle parti. Così lo rovini.

Al mio paese facciamo così, rispose Mikailov, che era un omone con un vocione da omone, lui badava alle pecore, anche se in realtà era un tecnico informatico.

Al tuo paese siete selvaggi, disse Ugo, un omino con un cappellino ridicolo sempre in testa che faceva il giardiniere, veniva dal sud.

Angelo era l’unico che in realtà non ci capiva molto in queste questioni che però lo appassionavano, da bambino era cresciuto in città. Faceva parte del gruppo perché conosceva tutti i sentieri e tutti i passaggi fuori sentiero, meglio dei suoi compari, grandi intenditori della vita agricola e boschiva che però non muovevano un passo se non c’era un motivo.

Invece Angelo conosceva un sacco di posti proprio perché muoveva passi senza motivo. 

Il motivo prima o poi salta fuori.

Per esempio quella sera tornarono con tre ghiri nello zaino. Appena presi gli facevano tutto un trattamento, altrimenti diventavano amari, sapevano di bile o qualcosa del genere.

Era sempre più sera. Il cielo emanava strisciate violacee. Si fermarono in una radura a mangiare qualcosa, era una specie di merenda tardiva. In fondo erano come dei ragazzi che giocavano, questo li aiutava nelle difficoltà.

E’ riapparsa un’altra Madonna, disse Ugo senza alzare lo sguardo, dopo un bel po’ di silenzio.

 La cosa stava così. Un tempo le campagne erano piene di tabernacoli con Madonne, immagini o statue. Madonne col bambino che vegliavano ai crocicchi, sulle strade bianche.

Poi le Madonne erano sparite tutte. Rubate, si suppone. 

Ma ora alcuni superstiziosi trogloditi come Ugo sostenevano che le Madonne stavano tornando. O meglio, che stessero tornano era incontestabile. Se uno andava in giro lo vedeva da solo. Ma i superstiziosi regrediti giuravano che le Madonne stavano tornano senza che nessuno ce le mettesse.

Magari anche quando se ne sono andate non è che le hanno rubate, magari se ne sono andate da sole. Questo disse Mikailov.

Ma che dici, rispose Ugo, sei eretico. E poi molti tabernacoli hanno le grate di metallo.

Comunque in effetti poteva anche darsi.

Dovremmo appostarci la notte di fronte a un tabernacolo vuoto e vedere se ne soprendiamo una che ritorna, magari capiamo come fa con la serratura, aggiunse Ugo, che credeva ai prodigi ma aveva senso pratico.

Bisognerebbe capire perché sono tornate, disse Mario.

Ugo però non si lasciava smontare da finezze o ironie. Domenica aveva sentito il parroco, Don Pietro, dire alla sua platea quasi tutta di donne che c’era bisogno di sacrifici. E aveva messo in relazione questo bisogno dei sacrifici col ritorno delle Madonne. Quindi bisognava fare sacrifici per non far andar via le Madonne. 

Quali sacrifici non era chiaro.

Ma in molti erano pronti 


 27 marzo

La mattina dopo, presto, Angelo era in giro col cane perché non doveva andare a scuola. Viola aveva bisogno di nuotare e Angelo voleva vedere se i pescatori avevano di nuovo sporcato il lago. Era un po’ una mania e se ne rendeva conto. Si sentiva come quegli omini che fissi alla finestra o al balcone, in città, controllano di continuo se uno parcheggia male e a quel punto glielo dicono. Uno spasso. Così lui andava al lago e se c’erano i pescatori chiedeva di non lasciare rifiuti.

Rifiuti? Domandavano esterefatti, non capivano la parola.

I pescatori di solito erano dei ragazzotti brutali con occhiali a specchio, che nonostante la giovane età non ce la facevano ad arrivare nei pressi del lago a piedi, senza l’ausilio di un fuoristrada. Proprio al lago in macchina non ci arrivavano, perché c’era una salitina finale ripidissima e stretta e stretta, un viottolo da cinghiale magro. Però ce la facevano a scaricare sulle sponde e anche in acqua quantitativi inspiegabili di plastica.

Sarebbe stato il caso di piazzare delle trappole per mozzargli le gambe. O almeno prendere a bastonate i loro fuoristrada.

Ma invece ora non c’era nessuno. Si sentiva l’incredibile frastuono della primavera, tutti gli animali cantavano. E i vegetali non è che stessero zitti. Un tripudio sonoro luminoso che sgorgava da tutte le parti segnalava l’assenza dei pescatori.

Chissà che musica saltava fuori quando non c’era neppure Angelo. Ma nessuno è perfetto, e lui per stare là doveva esserci.

Camminava nell’erba e nei fiori che crescevano a vista d’occhio, dove vedevi un filo, poco dopo c’erano liane colorate coi petali; scrutava tra i rovi nella speranza di cogliere il bianco dei prugnoli, funghi rarissimi, più preziosi dei porcini, gli unici a crescere in quella stagione.

Salì al lago, che aveva una strana forma semitriangolare, con uno dei vertici che puntava dove il bosco era più fitto.

 Dall’altra parte vide un’ombra sull’erba. Sembrava scivolare.

Una Madonna. 

 Ma non poteva essere di quelle che poi entrano nei tabernacoli. Era grossa come un orso.

Quella Madonna gli faceva paura. Da bambino alle elementari gli avevano dato un tema: cosa faresti se Gesù bambino apparisse in camera tua? Lui, immaginando l’improvvisa materializzazione di un sinistro bambino avvolto nella luce, tipo le bambine di Shining, aveva scritto che si sarebbe buttato dalla finestra dalla paura. E la maestra aveva convocato i suoi genitori per lo scandalo. Ora provava la stessa inquietudine di quella immmaginata tanto tempo prima, solo che la questa non era immaginazione.

Ferma, sussurrò a Viola che stava per buttarsi nel lago pieno di gamberi killer che si muovevano torpidamente.

Per fortuna la Madonna non lo aveva notato, stava entrando nel bosco al vertice del triangolo.

Angelo non scappò. Stava immobile come una statua nel tabernacolo. Fissava quell’ombra alta, spaventato e attratto. La Madonna, qualsiasi cosa fosse, sparì tra le querce.


2 aprile

Angelo girava come un pazzo da una scuola all’altra. Parlava di continuo, sempre, non riusciva a fare altro. Parlare era come una droga che gli impediva i pensare. A furia di parlare non capiva bene quello che diceva. Magari credo di dire Leopardi è un poeta e invece dico la preside peta, pensava.

Ogni tanto qualche professore si complimentava perché lui nel casino più totale riusciva a stare tranquillo. Ma lui ci riusciva perché dava per scontato che quella era una discesa nell’orrore. In effetti per essere l’inferno non era male: c’erano anche dei ragazzi fantastici. 

Ci fu la faccenda degli scaracchi.

L’Istituto numero 6 lo vedevi anche se non ci andavi. Dappertutto per la città c’erano manifesti che lo pubblicizzavano come tempio della didattica contemporanea. Era un tempio basso ma enorme, un po’ tipo il pentagono. Con un grande cortile interno in cemento rosa e bianco circondato da reti metalliche nere.

 La prima volta che era stato lì, avevano tirato un accendino dalle scale e l’accendino era esploso accanto a una ragazza, che poi fingeva di ridere ma piangeva. Angelo non aveva capito se tutti gli accendini tirati dall’alto esplodono o se quello era stato preparato.

Un’altra volta gli alunni avevano riempito la scuola coi vermi. Questa in effetti era una cosa che lui aveva apprezzato, perché trovare tutti quei vermi non doveva essere stato facile. Su una panchina del cortile interno aveva letto una scritta sul muro “facciamolo nella torba, tra i lombrichi”, che forse non era casuale.

Stavolta la professoressa, curva sotto il peso delle ore di lezione e soprattutto di pianificazione, coi capelli ritti e come in trance, lo avvertì: attento agli scaracchi.

Già il fatto che una professoressa usasse la parola scaracchi con quella naturalezza lo colpì, non che ci fosse qualcosa di male, ma gli suonava strano.

In effetti camminando verso la cattedra dovette evitare scaracchi grandi come pozze, era incredibile che un essere umano potesse produrli, sembravano scaracchi di ippopotamo. Ma ippopotami non se ne vedevano.

In classe c’erano i giornali, sparsi qua e là. Pochi giorni prima Angelo aveva letto su una di quelle riviste da treno dei commenti entusiastici su questa iniziativa nobile di distribuire giornali nelle scuole. 

Solo che quei giornali erano illeggibili. In quanto scaracchiati.

Angelo fece una faccia stupita.

Due nane coi denti pieni di cibo, perché mangiavano di continuo, dissero che loro non scaracchiavano.

A quella affermazione tutti presero a urlare e a deriderle e a barrire.

La professoressa parlò della necessità di utilizzare nuovi metodi didadittici. Stava col busto quasi spiacciato sulla cattedra e le braccia protese in avanti. Non si capiva se parlava ad Angelo, ai ragazzi, o agli scaracchi, nessuno la stava a sentire.

Di solito era gentilissima (una gentilezza del tutto fuori luogo) e remissiva, ma ogni tanto la frustrazione esplodeva e allora cominciava a inveire contro un ragazzo che non aveva fatto nulla. E così fu questa volta.

Prese per il braccio un mingherlino che aveva solo chiesto di uscire. 

In Angelo la curiosità fu troppo forte: ma perché scaracchiate? Chiese.

Al che inaspettatamente parecchi fra quelli in stato di veglia parteciparono alla discussione. Addirittura ci fu chi smise di giocare a carte.

Tre tipi uscirono dall’armadietto grigio dove erano stati rinchiusi fino a quel momento (ed era uno di quegli armadietti piccoli) per dire confusamente la loro. Angelo non capiva come avevano fatto a starci tutto quel tempo senza soffocare. Magari dentro ce n’erano altri, morti.

Del perché scaracchiassero tutti, o quasi tutti, Angelo non capì molto. Per giustificarsi dicevano che non avevano voglia di studiare, per questo erano in quella scuola. Lavorare era troppo faticoso. Lo dicevano sul serio, con aria improvvisamente assenatissima. La stessa che dovevano assumere coi loro genitori, che infatti pensavano tutti di avere dei figli, se non geniali, perlomeno buonissimi (solo un po’ vivaci, ma chi non lo è a quella età), e che la scuola, arretrata, non fosse in grado di valorizzarli. Comunque alla fine un ragazzo allampanato, coi capelli rossi, che sembrava venuto dall’ottocento, gonfiò il petto smilzo e con aria fiera disse: io quando devo scaracchiare mi alzo e vado al cestino.

Bravo! Esclamò Angelo, assurdamente entusiasta. Gli sembava di essere stato catapultato nel libro Cuore.

Solo più tardi si chiese che senso avesse il tutto.


4 aprile

Angelo aveva dei vicini di casa americani, una famiglia molto religiosa. Gli avevano regalato un libro su Gesù intitolato “Il falegname dell’anima”. Proprio così. Nel libro c’erano capitoli tipo “Come entrare in contatto con Dio”. O illustrazioni con una locomotiva sbuffante e sotto la didascalia: “Dio è la locomitiva, tu attaccati”.

Proprio così. Sembravano cose false ma erano vere.

Erano tipo crociati di Cristo o qualcosa del genere. 

Però erano simpatici. .

La mattina arrivò George. Era un uomo alto, atletico. Aveva più l’aria dell’ uomo d’azione che del religioso. Al limite poteva sembrare un predicatore errante nel selvaggio West, munito di pistole sotto la tonaca, o di croci esplosive. Lo immaginavi nel vento e nella polvere predicare il Verbo combattente. Di fatto lo vedeva sempre lavare la macchina o cose del genere, anche se poi parlava di Gesù, con cui aveva un’intesa particolare. La Bibbia non sembrava essere la sua lettura quotidiana. Lui e Patty, sua moglie, erano venuti in Italia chiamati da Dio. Erano qui a oliare matrimoni, come dicevano.

Il matrimonio è come una macchina. Non devi andare dal meccanico quando è da rottamare. Devi fare dei controlli periodici, Controllare l’olio, i freni, le gomme eccetera. Per il matrimonio è lo stesso, questo era il concetto. E la revisione ti conviene farla dal punto di vista di Dio.

Insomma cercavano di dire alle coppie come vivere, del tutto in buona fede. La loro era una organizzazione importante, ramificata in tutto il mondo. 

Il tema di un convegno o una convention messa su dalla loro organizzazione fu: Come oliare matrimoni in Afghanistan. 

George aveva lasciato la sua attività di imprenditore in Florida per questa missione.

 L’americano arrivò con aria grave e raccontò ad Angelo cosa era successo quella notte. 

Sono i venuti i ladri a rubare, disse. Come se i ladri facessero altro. Comunque risultò che avevano visitato tutte le case lì attorno. A parte una.

Quale?

Ebbene sì, quella: la casa di Angelo e Lucia era l’unica trascurata dai ladri.

Chissà perché da voi non sono venuti, disse George inarcando le sopracciglia. 

Angelo fissò il giubbottino tipo Happy days, si sentiva imbarazzato, come se quell’altro lo avesse accusato, anche se magari non ci pensava nemmeno e era solo una frase così.

E’ che noi non abbiamo nulla, si giustificò Angelo.

Arrivò Patty, stravolta ma anche galvanizzata. Infatti era come se l’evento gli avesse infuso vita, a tutti e due. Questa era una cosa bella. Erano lì che parlavano e parlavano e discutevano dei provvedimenti da prendere, con un certo entusiasmo. Arrivarono anche altri vicini derubati, che invece avevano un’aria cupa, depressa, sembravano proprio in punto di morte o anche peggio.

Mentre George aveva regalato a Angelo “Il falegname dell’anima”, Patty aveva regalato a Lucia “Quale amore usi?”, da cui imparavi che i linguaggi dell’amore erano cinque e tu dovevi capire bene qual era il tuo e qual era quello della persona con cui intendevi essere amoroso, se non lo capivi non funzionava perché non riuscivi a conciliare i linguaggi.

Comunque Patty era molto simpatica. Tutta la famiglia dei predicatori imprenditori crociati lo era.

Patty disse che i ladri avevano addirittura portato via i soldi dei bambini, che non erano pochi. Bisognava fare qualcosa.

Ma George nel fattempo l’aveva già fatta. Mentre i vicini italiani palavano di pagare sorveglienti speciali che si aggirassero attorno alle case (a furto finito, perché bisognava chiamarli) George, radioso, tirò fuori una busta di plastica.

Ho sempre sognato di essere come Magnum P I, disse.

Mica perdeva tempo. In mattinata era andato nella viuzza semiabbandonata che passava dietro le case e indagando aveva trovato le tracce di un appostamento. Erano chiaramente i ladri.

La sera George bussò a casa di Angelo. Da certi dettagli aveva dedotto che i ladri sarebbero tornati. Il piano era questo: dovevano nascondersi nella vigna, al bordo della stradina. George con la mazza da baseball, Angelo col fucile subacqueo.


5 aprile

In una scuola immensa, che sembrava un carcere e un ospedale, non riusciva a trovare l’aula, nessuno sapeva nulla, nessuno era in grado di dargli indicazioni sensate. In un’aula vuota c’era una professoressa riversa sulla cattedra.

Buongiorno, disse lui, ma quella non rispondeva.

Stanca del solito cazzo cerco emozioni lesbo, diceva una scritta su un banco.

A che ora suona la campanella? aveva insistito Angelo, in cerca di un contatto umano.

Magari la scritta sul banco era opera della professoressa, per questo non lo considerava, visto che era stanca di certe cose e ne cercava altre. Non era impossibile pensarlo. Angelo, che era un appassionato cercatore di parole sui banchi e sui muri, aveva letto frasi soprendenti nei bagni dei professori.

La docente alzò la testa voluminosa e disse: gli zombie escono alle due.

E in effetti l’atmosfera dell’edificio era quella di un film di Carpenter.

Uscendo senza aver praticamente fatto lezione (era riuscito a trovare l’aula a venti minuti dalla fine), Angelo aveva notato un’altra memorabile scritta su un muro: quello che conta è quello che a voi non interessa.

Da un po’ di tempo gli sembrava che le cose gli parlassero, che tutto succeva di fronte a lui prendesse forma di parabola.

Forse la realtà si stava vendicando per qualcosa che le era stato fatto, forse perché la gente la prendeva troppo alle lettera e allora Lei cercava di dire qualcosa coi fatti, che erano le sue parole.

Sul marciapiede sfrecciavano in motorino gli zombie che, a contatto col motore avevavo ripreso vita. Quasi lo investivano. Angelo col piede dava calci ai sacchetti, sperando che inappucciassero uno dei futuri votanti. Era un gioco innocente, dato che era improbabile che accadesse sul serio. 

Tornando a casa sentì un nuovo tipo di suoneria del cellulare, non capiva da dove venisse, lui non era certo il tipo da cambiare suoneria. Poi si   rese conto che era il suono delle campane.

Le buste di plastica sbandavano verso il cielo portate dalle correnti calde, gli risvegliavano il ricordo lontano e incantato delle carte delle arance che la maestra dell’asilo faceva volare bruciandole.

E’ chiaro che ci stanno zombizzando, disse Mario la sera a cena a casa di Angelo, di fronte a uno degli ultimi fuochi della stagione. Tutte queste antenne che spuntano sulla collina, servono per zombizzarci. Ci stanno rincoglionendo. E’ una cosa organizzata.

Erano lì che arrostivano la carne. Lucia, la donna di Angelo, rideva di questi discorsi. Ma Angelo e Mario sotto sotto parlavano sul serio, o quasi, non lo sapevano bene neanche loro.

E’ apparsa un’altra Madonna, disse Ugo.

Lucia emise un sordo brontolìo animale che voleva dire “e ridagli”, lo notò solo Angelo, per fortuna. Lui la amava anche perché lei riusciva a riportarlo alla realtà, in svariati modi. E’ che Lucia non gradiva molto di avere tutta l’allegra compagnia in casa, anche se non aveva chiaro quanto fossero diversificate le loro attività.

Angelo invece, che aveva preso a frequentarli per certi affari in comune, perché i tempi si stavano facendo duri e in qualche modo bisognava arrangiarsi, lui alla fine aveva trovato il modo di comunicare con loro, anche se (a parte Mario) venivano da mondi diversi, non omogenei rispetto al suo. 

Comunque saltò fuori che c’era qualcosa di più, oltre alle solite cazzate delle Madonne.

Infatti suonarono. Salì in casa Sandro, il fattore della Scheggia e trafelato disse:

Hanno trovato un morto, disse, un pescatore.

Al che Angelo sentì che tutti lo guardavano, anche se magari non era vero.

Improvvisamente cominciò a sudare.

Tutti lo sapevano quanto odiasse i pescatori, e non si poteva escludere categoricamente che qualche volta in effetti avesse rotto degli specchietti o rigato delle fiancate per poi rifugiarsi nel bosco. Nessuno è perfetto. Ma da lì a uccidere ce ne corre.

Dove? chiese con la gola debole.

Al laghetto qui sotto.

E come è morto?

Non lo so, alcuni dicono che era fulminato, ma non lo so, l’hanno già portato via.

Strano, disse Ugo, hanno fatto in fretta.

Il fattore spiegò che in effetti c’era stato un gran dispiegamento di forze, e che Giovanni, il guardiacaccia che aveva trovato il corpo, era stato portato via subito dalla polizia. E aveva solo fatto in tempo a dire a Sandro che il pescatore sembrava folgorato.

Poi anche nei giorni successivi dal guardiacaccia non ci fu verso di sapere molto, era laconico, come spaventato.

Angelo ripensò alla Madonna grande come un orso, che aveva visto proprio al lago, l’altro giorno.


6 aprile

Scendeva dagli splendidi suburbi campestri.

Vedeva laggiù laggiù la striscia opaca dell’inquinamento aleggiare sulla culla dell’arte. O erano le esalazioni delle anime in putrefazione.

Polle di stupidità gorgogliavano nella piana, a Angelo pareva quasi di vederle mentre scendeva in macchina cercando di evitare gli autisti assassini dei pulmann.

La strada stretta e tortuosa era intasata dai camion che portavano terra nera e dai motociclisti. Ci voleva un altro miracolo del sacchetto. A parte che sarebbe stato clamoroso fare un giro nei campi ed essere travolto da un motociclista incappucciato.

L’inferno era popolato da gente con gli occhi da pesce. Nessuno che capisse niente. Nessuno che avesse il dubbio di non aver capito qualcosa. C’era una ignoranza, una protervia potenzialmente aggressiva. Aspettava solo l’occasione per esplodere. Ma a volte invece l’anima faceva capolino dagli sguardi da pesce. E allora gli affiorava un intenerimento. Gli veniva il dubbio di essere troppo critico: di essere posseduto dal maligno. Il Maligno, qualsiasi cosa fosse, qualcosa era.

Comunque era chiaro che se nelle scuole italiane non avvenivano stragi tipo quelle americane era per colpa della carenza di armi.

Qualcuno avrebbe rimediato.

Dato che Angelo teneva corsi anche il pomeriggio e la sera (corsi per adulti) i suoi orari erano sballati, mangiava quando poteva, si portava dietro bustine di miele che ingurgitava di continuo nell’illusione di darsi forza e salvare la voce.

Quando poi arrivavano i giorni liberi, le giornate lunghe, all’improvviso, quasi con violenza, il richiamo delle colline e delle terre selvagge erano talmente irresistibile, che passava il suo tempo a vagabondare come un cretino nel paese delle meraviglie.

Nell’istituto numero 6 gli psicopatici non mancavano. I professori ne avevano paura.

Un ragazzetto con aria inerme e spaurita stava lì rannichiato in un angolo come una preda tra i predatori e non partecipava al racconto di gruppo.

E tu non fai nulla? disse il professore.

Io lo copio dopo, fu la risposta.

C’era un gruppo di cinesi che ascoltava con aria assorta, rapita, le parole di Angelo, era una soddisfazione.

Quelli? Ma quelli non sanno una parola di italiano, disse il professore con quella sua barbetta puntualizzante, quelli non capiscono nulla.

C’erano alcuni (una dozzina) che per tutte le ore di lezione, fino a ricreazione, guardavano con aria sognante i panini che avevano comprato appena entrati a scuola. Li tenevano ammonticchiati su un banchetto accanto alla cattedra. Bene in vista. Li carezzavano con lo sguardo, a volte li carezzavano davvero con la mano, quando ci riuscivano, di soppiatto, per esempio quando si alzavano per andare in bagno. Il che avveniva di continuo. E forse andavano così tanto in bagno proprio per poter carezzare i panini sul banchino.

Due sorelle gemelle piangevano perché era morto il Papa.

Una ragazza straniera si avvicinò ad Angelo e timidamente gli disse che aveva una cosa da chiedergli.

Va bene, disse lui.

Aveva uno sguardo delicato.

I sogni si avverano? Fu la domanda.


12 aprile

Erano in parecchi appostati nella notte.

Li aveva convocati Angelo, con varie scuse, non sapeva nemmeno perché.

Anzi, lo sapeva. Aveva molti motivi. Anche gli altri li avevano.

George voleva massacrare i ladri perché lo avevano derubato, e non vedeva assolutamente contraddizione con l’imperativo di agganciarsi alla locomotiva di Dio. 

Gli altri vicini volevano assicurare i ladri alla giustizia. In realtà poi di questi altri vicini dopo tante parole ne era venuto solo uno, il Mainardi. Una specie di manager venditore di non si sa che, che ostentava sempre le sue conoscenze nell’alta finanza.

Ugo era lì soprattutto perché Angelo gli aveva raccontato di giganteschi ghiri notturni con cui si potevano guadagnare fino a centocinquanta euro a esemplare e quello ci aveva creduto. 

E Ugo era lì anche per la faccenda delle Madonne. Infatti in quella zona c’erano stati un sacco di avvistamenti, negli ultimi giorni. E il bello che là davanti a loro c’era un tabernacolo ancora vuoto. Era come se le Madonna cercasse di rientrarci.

Anche Mario era interessato alla faccenda delle Madonne. E poi lì vicino c’era un’antenna per telefonini e Mikailov, il tecnico pecoraio, diceva che poteva esserci un collegamento tra l’antenna e il ritorno delle Madonne.

E’ vero che l’antenna secondo Mario serviva alla zombizzazione delle persone, ma questo non impediva che ci fosse un nesso col ritorno delle Madonne, magari le antenne zombizzanti come effetto collaterale attiravano le Madonne, le risvegliavano dal letargo religioso.

C’era un tale zampillio di idee del menga nel mondo che era impossibile non abbeverarsi. Questa era la verità.

Fatti furbo, gli sussurrò Mario sedendosi accanto a lui sotto la grande quercia che stava tra il vigneto e li ulivi. Fatti furbo era una frase scherzosa che dicevano tra loro, riassumeva lo spirito dei tempi, era il comandamento principale. Loro la ripetevano per farsi coraggio.

Non è che Mario davvero credesse a quella storia delle antenne, era una metafora, se capite quello che voglio dire, o forse siete stati troppo sotto le antenne.

Angelo si sentiva un po’ ridicolo col fucile subacqueo poggiato tra gli sterpi. E poi era un fucile a arbalete, e uno stecco qualsiasi rischiava di far partire o inceppare gli elastici.

Queste cose nell’insieme erano divertenti. E poi lui voleva scagionarsi in anticipo da qualsiasi coinvolgimento nella faccenda del pescatore morto, che rimaneva un po’ troppo misteriosa, e già nel paese sussuravano che lui ce l’aveva coi pescatori. Lo dicevano così, con aria di nulla, dal barbiere. O dal macellaio. Quella era la terra promessa dei barbieri e dei macellai, ce n’erano tantissimi.

Lui si era quasi assopito quandò arrivò la macchina. 

Stava pensando alla professoressa Biagini. Lui nel pomeriggio l’aveva chiamata per sfissare la lezione della mattina dopo, dato che prevedeva che la notte di appostamento si sarebbe protratta a lungo. 

Peccato, le ragazze saranno deluse, aveva detto la professoressa. Aveva una classe composta quasi esclusivamente di femmine, di maschi ce n’era solo uno. Così, semplicemente, rimaranno deluse.

Angelo ci era rimasto un po’ male e un po’ bene, come sempre quando nel suo quadro apocalittico si aprivano crepe o intenerimenti. 

Ugo si era arrampicato sulla quercia con uno spiedo, in cerca della cavità dove sorprendere il ghiro gigante. 

Eccoli, bofonchiò George. Andiamo.

I richiami degli uccelli notturni tacquero. Ora dalla notte uscivano solo il vento e i profumi.

Andiamo, insisteva il vecchio George, che in verità era un tipo simpaticissimo, solo che Angelo non pensava che si sarebbe mai arrivati a queso punto. In quella stradina non passava mai nessuno, cazzo. Stai a vedere che erano davvero i ladri che avendo trovato un buon posto erano tornati? Era il ragionamento di George. Quelli si aspettavano degli inermi, ma ora vedevano.

Andiamo, George cominciava a spazientirsi. Angelo guardava la strada, il fucile subacqueo, la quercia, la macchina, il tabernacolo, la mazza da baseball, l’antenna zombizzante, non sapeva che fare.

Stanno troppo abbracciati per essere dei ladri, disse Mario.

 In effetti, al chiaro di luna che faceva brillare la strada bianca, sembrava di capire che quei due dopo aver fermato la macchina non si stavano trattando freddamente.

E’ una coppietta, disse Mikailov, che giungeva molto velocemente alle conclusioni.

Il Mainardi non diceva nulla, era la prima volta che Angelo lo sentiva stare zitto per così tanto. Di solito pontificava di ditte e fusioni, e proprio ora che aveva una vera fusione davanti non sapeva che dire.

George si stava arrabbiando per l’ignavia di quegli europei.

Macché coppia, è solo un trucco dei malviventi. Disse proprio così, malviventi. Poi, sotto gli occhi esterefatti degli altri strisciò solitario verso la macchina.

Fu Ugo a fermarlo. Era ancora appollaiato sulla quercia quando udirono la sua voce:

 Eccola, disse estasiato, è una Madonna, lo dicevo io che questo era un punto di passo.

Parlava delle misteriose Madonne come di bestiame, ma con rispetto e devozione.

Peccato che sul terreno duro i miracoli non lasciassero impronte.

Scese dentro la cavità della quercia per non farsi vedere dall’apparizione.

Gli altri, che già erano per terra, nascosti nell’erba, si appiattirono ancora di più al suolo.

George interruppe il suo avvicinamento inesorabile alla macchina. Per il suo tipo di religiosità la Madonna non era così importante. Ma una cosa è la teoria. Quando te ne trovi Una davanti non è così facile restare indifferente.

Allora si contorse come un serpente e tornò alla quercia, sempre senza mollare la mazza da baseball.

Quell’essere imponente e arcano si avvicinava senza vederli. Venuta da un’estrema lontananza, sembrava andare verso un punto santo, per loro incomprensibile. Saliva. Era più in basso, rispetto a loro, che si trovavano abbastanza vicini alla strada e quindi in alto. Sembrava che fosse sbucata dalla vegetazione fitta che costeggiava il torrente nel fondovalle. Ora avanzava tra le ortiche e irraggiava luci misteriose nella notte benedetta.

Tutti erano presi dall’estasi del momento, anche gli increduli.

A Ugo, i cui occhi spuntavano dal tronco, il cuore gli martellava al punto che aveva paura i far esplodere la quercia. 

Mentre la Madonna si avvicinava successe qualcosa di strano. Sembrava sempre più umana.

Il che faceva parte del miracolo. In effetti sì, anche. Ma non era solo questo.

Guardando bene il volto in parte coperto dal velo azzurro, si notava che aveva tratti maschili.

Non era esattamente quello che ti aspetti da una Madonna.

E’ una corazza, disse Mario, che in quanto a conoscenza delle armature, antiche e moderne, non era secondo a nessuno.

Il velo azzurro era in realtà una protezione metallica. Aveva avuto ragione Angelo quando al lago, era stato sorpreso dalla sensazione che la Madonna fosse in qualche modo rinforzata.

Sta puntanto verso il tabernacolo, notò Ugo, che era fissato con l’idea che dovesse sistemarsi là dentro.

Sì, ma là dentro non c’entra di sicuro, osservò Mikailov.

In effetti era grossa, più grossa di una statuina da tabernacolo. Però non aveva neanche le dimensioni da orso che Angelo aveva creduto i vedere al lago. Diciamo che aveva le dimensioni di un uomo, un uomo grosso, solo che quell’armatura che indossava la faceva sembrare più grossa. 

Ora dalla cavità della quercia spuntò anche il naso.

Ma ce n’è un'altra, disse Ugo, che evidentemente aveva un occhio infallibile e una predisposizione emotiva per le Madonne.

In effetti dal torrente in fondo ne era spuntata un’altra, solo che era un po’ più a destra, rispetto alla prima, vicino al pozzo.

La Madonna numero 1 si accorse della nuova arrivata e perse un po’ della sua maestosa compostezza. Corse al tabernacolo ma non pensò nemmeno a saltarci dentro, dove avrebbe costituito un facile bersaglio. Invece lo aggirò e lo usava come riparo, come scudo. Tirò fuori dal manto azzurro uno scettro che si rivelò una specie di fucile e cominciò a sparare verso la Madonna numero 2 che buttatasi dietro una catasta di legna e fil di ferro arrugginito rispondeva al fuoco.

Erano colpi abbastanza silenziosi, ma da quella distanza li sentirono addirittura quelli in macchina, misero in moto senza rivestirsi.

Angelo stringeva il fucile subacqueo, incerto sul da farsi. Accanto a lui c’era George che stringeva la mazza da baseball, e anche lui era interdetto. Come tutti.

Solo Ugo sembrava esplodere dalla devozione: aveva tirato fuori tutta la testa dalla cavità e sorrideva pio, si era del tutto dimenticato del ghiro gigante. Due Madonne sono ancora meglio che una, doveva essere il suo ragionamento.

Le due Madonne corazzate si allontanavano, combattendosi a distanza.

Bisogna seguirle, disse risoluto Mario. 

Ugo cautamente uscì dalla cavità. Anche se in verità non sembravano esserci tutti questi rischi che le Madonne lo vedessero. Più che altro sembravano farsi i fatti propri.

Mentre si muovevano, il Mainardi sembrò riscuotersi dal terrore e dalla meraviglia.

Eppure…, disse pensoso.

Ora non c’è tempo, andiamo, gli disse Angelo risoluto.

Evidentemente Angelo conosceva quei luoghi meglio delle Madonne. Infatti capì che sarebbero sbucate al lago e così fu. In questo modo il gruppetto poté precederle di poco, chino nella macchia, senza farsi vedere.

Camminavano come in una visione. Era tutto incredibile, eppure anche stranamente terrestre. Al lago si nascosero tra i ginepri.

Stavolta la Madonna numero 1 gli arrivò davvero vicino. Era stravolta, chiaramente fuori forma, respirava a fatica. E aveva indubbiamente il volto di un uomo, anche un po’ peloso.

Bestemmiava.


Ma è Mack, l’amministratore delegato della Basti&Basta riuscì a dire il Mainardi, che sembrava conoscere solo amministratori delegati.

Allora la Madonna numero numero 1 si voltò lentamente verso i ginepri. Quelle assurde armature ottundevano il senso dell’udito, ma alla fine aveva sentito qualcosa, forse aveva riconosciuto il suo nome, o la carica.

Per un attimo parve vederli, e Angelo pensò che gli avrebbe sparato con la sua misteriosa arma, e loro non avevano armature. Ma poi sul vertice opposto del lato triangolare sbucò la seconda Madonna, se non   era addirittura una terza. Non era chiaro. Alla lunga, le Madonne sono come i cinesi: le confondi.

Non se la sentirono di seguire le Madonne che sparivano nell’oscurità, verso le gole. Perché soprattutto la Madonna numero due (o era la tre?) aveva dimostrato una preoccupante tendenza a sparare. E non era chiaro cosa sarebbe accaduto in assenza di armatura. A parte che non era chiaro neanche cosa accadeva quando uno aveva l’armatura, perché non l’avevano visto.

Meglio tornare a casa, disse Mario, interpretando il pensiero di tutti.

Ora ho capito, disse il Mainardi.

Tutti lo guardarono con disprezzo.

Invece venne fuori che il cretinoun po’ di cose le sapeva. C’erano questi tipi che facevano dei giochi di guerra nelle colline. Alcuni erano dei supermanager che lui naturalmente conosceva fin dall’infanzia, altri dei veri soldati ipertecnologici che venivano alle noste parti un po’ in vacanza un po’ per questa attività dei giochi di guerra che per loro era lavoro.

Può anche darsi che in questi giochi qualcuno alla fine morisse, cadendo in un fosso, per esempio ma, se era così, la cosa passava sotto silenzio, oppure si diceva che era morto in qualche eroica azione.

Ma perché non ce lo hai detto prima? Gli chiesero.

Lui a quanto pare non aveva collegato le cose.


Di sicuro il pescatore era morto per colpa delle Madonne.

Infatti quando Angelo alzò  la testa dal ginepro si ritrovò attorcigliato qualcosa tra i capelli. Era la lenza del pescatore, che era rimasta impigliata e tesa tra i ginepri e i cavi della luce che correvano là sopra.

Il pescatore si deve essere visto arrivare addosso una Madonna all’improvviso, disse Mikailov, il loro tecnico pecoraio.  Preso dallo spavento ha alzato la canna per difendersi, con la lenza ha toccato il cavo della luce e così è morto fulminato.

In effetti anche Mario aveva letto che lo sport più pericoloso del 2004 era risultato la pesca con la canna, perché con le canne sintetiche un sacco di pescatori morivano fulminati.

Sembra ridicolo, ma è così, concluse.

Oppure la Madonna gli ha sparato folgorandolo, aggiunse Mario.

O le due cose insieme, concluse Angelo.

La verità non si seppe mai.


Tornavano a casa, stanchi ma felici, non si sa perché, forse per la dolce sera di primavera, forseper il dovere incompiuto.

Che giornate, che notti. Era un mondo in bilico, ma bellissimo, se non davi retta al Maligno.

 Angelo tutto sommato avrebbe anche potuto evitare di sfissarla la lezione a scuola, e andare da quelle sante ragazze.

 Ci fu un bagliore oltre i pini, che tutti fecero finta di non vedere perché erano esausti di miracoli e di orrori. 

Forse era un vero prodigio quello che palpitava laggiù nella selva. Ma nessuno fiatò, neanche Angelo. 

Volevano solo andare a casa e dormire.


Enzo Fileno Carabba