Incontro con Moradi il Sedicente

Il tempo

Moradi mi ha chiesto di parlare del tempo e di non parlare di me. Allora parliamo del tempo. 
Dopo le giornate di vento, dopo il vento innaturale che ha superato gli Appennini, e non succedeva da secoli, il grecale in delle zone dove il vento non si era mai visto, dove non era stato mai e bastava un soffio appena per fare crollare tutti i rami e i tronchi e scoperchiare i tetti, ecco qua. 
E se un Moradi per caso fosse passato per quei boschi e rami caduti, avrebbe costruito un intero esercito di terracotta, un'arca piena, una città, un pianeta di scimmie antropomorfe, uno zoo di Pistoia, di tutto avrebbe potuto costruire e forse, Moradi, un giorno lo farà.

 Incontro

Ho conosciuto Moradi il Sedicente all'angolo di via delle Caldaie con via della Chiesa. Più che un luogo una dichiarazione d'intenti. 
Ho conosciuto Moradi il Sedicente una sera all'angolo di via delle Caldaie con via della Chiesa. Mi accompagnava il mio amico Ferruccio, poeta.
Ho conosciuto Moradi il Sedicente una notte all'angolo di via delle Caldaie con via della Chiesa, lui era in bici e si è fermato proprio in mezzo all'incrocio, come un semaforo, o un landmark. 
Ho conosciuto Moradi il Sedicente, all'angolo di via delle Caldaie con via della Chiesa, là sorgeva il Caffè Notte, figli miei, se io sono andato a vivere in Oltrarno, lo devo proprio a quel bar. Ed è così che conobbi Moradi.

Dialogo con l'uomo della strada

 

Intervistatore – Buongiorno, mi scusi, una domanda.

Uomo della strada – Buongiorno, mi dica.

I – L'ha vista la scultura là, sul quel tronco?

U.d.S. –  Icché? Quei rami secchi?

I – Sì, è l'opera di un'artista fiorentino, l'orso di Moradi.

U.d.S. –  Di Morandi? Mi piace parecchio Morandi.

I – C'è un equivoco, Moradi, senza la n. Moradi il Sedicente.

U.d.S. –  Il deficiente?

I – Grazie mille, gentilissimo, buona giornata.

U.d.S. –  Arrivederla.
(I. si allontana)

U.d.S.– Drogati.

O l'opposto

Sono passate le mattine serene in cui vedevo sulla pescaia Santa Rosa il cervo di Moradi. Sono iniziate le piogge e l'acqua si è alzata, ma il cervo è rimasto là per molti giorni ancora, e sono continuate le giornate serene, solo molta acqua, mi sono riscoperto interessato alle precipitazioni stagionali medie, al meteo, il più sottovalutato degli elementi. Ci scriverò un post, gli farò una foto, poi le giornate sono passate, una certa turbolenza proveniente dalle aree nord orientali d'Europa. La quantità di acqua venuta giù in una singola notte è stata pari alla quantità di pioggia degli ultimi sei mesi. Tutto assolutamente nella norma, hanno detto al meteo in tv. Sono passate molte giornate da allora, comincia già una falsa primavera e io mi trovo qui a scriverne due cose, solo per pensare al tempo, che passa, e passa come il ricordo che non ho di certi viaggi degli anni passati, e penso al tempo non del viaggio in sé, ma degli spostamenti del passato, le ore in treno o in aereo o macchina, del mio passato più o meno recente, così passa il tempo. Il cervo di Moradi che stava sulla pescaia Santa Rosa sarà già al mare, o forse sparpagliato, disperso nelle anse del fiume, pezzetti minuscoli, parte di una diga di castori, così passa il tempo.

Senza titolo senza idee

Nella natura è ogni forma, in ogni inizio c'è una fine, l'insieme è maggiore della somma delle parti. Sarà questo febbraio, saranno gli scheletri degli alberi che mi permettono di vedere meglio le cose. Saranno gli occhiali da sole che indosso facendo colazione perché fotosensibile, è l'alcool di ieri sera che mi rende fragilista, questo muesli e yogurt che formano come una palla, un'insieme strettissimo, saranno i miei avambracci appoggiati su questo tavolo di legno che non è mio, come la casa in cui vivo. Gli aruspici mi faranno svegliare il Sabato mattina presto, oltre ogni considerevole interesse e pensare al mio futuro come un luogo foschissimo, malgrado questo presente, questi racconti che già esistono tutti, già sono stati scritti, come Riccardo che già si era ucciso in quella casa dove pure io vivevo per cinque anni, già tutto là e adesso andate, racconti e anche tu.

Selfie – Il sogno di Gioacchino

Nel sogno di Gioacchino, lui cammina per le strade del centro, cercando gli uomini che vendono i bastoni da selfie, ma non ce n'è neanche uno. Gioacchino ha indosso un mantello, si muove in una notte che se non fosse fiorentina sarebbe solamente umbra. Se non fosse giorno. 
Cammina per il centro della città cercando un venditore di bastone da selfie, selfie stick nella lingua degli uomini, ma non ve ne sono, neanche uno, dove stanno?, di casa intendo, voglio trovarli, devo, e allora si ricorda di certi dialoghi con altri venditori che sembravano angeli, che gli parlavano di Cascina, verso Pontedera, ed è là che alla fine va, in treno, regionale, con i finestrini che non si aprono e poi cammina, sempre Gioacchino, per la campagne riarse dal caldo che sembra quasi la Galilea, cammina nella notte umbra, nella campagna riarsa da un sole innaturale per esser notte, fino a scorgere di lontano dei casolari e figure di uomini seduti che attendono, quanta strada che hai fatto Gioacchino, ti aspettavamo, ecco dunque il tuo bastone, di che colore lo preferisci?, come se facesse poi una qualche differenza, ecco così adesso avrai una foto, benvenuto a Cascina, questa è l'origine dell'io, e noi siamo i suoi guardiani, fanno dieci euro. Dieci euro, ma stai scherzando, sono venuto fin qua. Facciamo sette euro e ti do anche questo elefantino porta fortuna. Andata. 
Gioacchino si sveglia che il meteo sul telefono disegna una giornata piovosa, la fidanzata storica Anna accanto a lui, è ancora addormentata.

Simone Lisi (testo)

Carlo Zei (immagini)