Breve cronaca individuale di tempi stranissimi

Ritornare dal deserto: vuoto, illuminato e traslucido, e con lo stesso silenzio vibrante di uno specchio

Nove marzo duemilaventi mi ricorderà per sempre la poesia di Mariangela Gualtieri. Intendo dire l’intera opera, straordinaria, della poetessa Mariangela Gualtieri. E contemporaneamente l’assocerò alla figura di Andrea Staid che, alle soglie di quel giorno cantato con teologica eloquenza da Gualtieri, pubblicò un brevissimo testo sull’importanza del silenzio. Da quel silenzio, per me, nasce la voce di Mariangela Gualtieri: «È portentoso quello che succede. / E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano».

Mi ritrovo oggi a leggere Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani (minimum fax, 2020) di Gianluca Didino. E mi viene in mente che tutto è legato in un unico ciclico andirivieni del tempo nel quale le cose tornano sempre a sé stesse. Come la poesia di Wilcock che rilessi in quei giorni, in occasione dell’anniversario della sua morte, il 16 marzo. «Comunque sia, questo mondo è per te». Dovevo immaginare che sarebbe tornata a me in forma diversa, chiudendo – e ri-aprendo – il ciclo.

Ipotizzo – forse ispirato dalla recente visione della serie tv Dark – di aver aperto un portale, in quei giorni, e che tutto stia tornando al punto ultimo e iniziale – quello che nella serie tv è il momento dell’apocalisse e della creazione del varco spazio-temporale che rende possibile il ciclico e infinito esistere di un determinato spazio-tempo nel quale collimano diverse dimensioni: interi mondi.

Come è iniziato tutto questo, mi chiedo. Ricorderò quei giorni come se li avessi scritti in un diario fittizio interiore, scritto all’alba del sole nero; settimane e mesi nei quali imparavo a leggere l’esterno e i messaggi mistici del Grande Altro mediante le parole di Edoardo Camurri in «2666» e tenevo conto dei giorni che passavano leggendo Bifo e la sua «Cronaca della psicodeflazione» (confluito poi in Fenomenologia della fine, NERO, 2020).  Mi resterà per sempre impresso nella memoria il numero della newsletter Medusa intitolato «Abbraccio». Una difesa contro le arti oscure.

Nelle prime settimane ho vissuto una strana e leggera dissociazione mentale: la mattina guardavo «Prendiamola con filosofia» e la sera leggevo Giorgio Manganelli. Ho scritto questo pezzo su Concupiscenza libraria (Adelphi, 2020) mentre tutti si riversavano nei supermercati assaltandone gli scaffali. Ero talmente immerso nello studio e nella scrittura che non mi sono accorto di niente (e devo ringraziare la mia compagna se ho potuto cibarmi nei giorni successivi). Durante quelle settimane mi sono lasciato andare a ore di lettura della Leggenda dei giocolieri di lacrime (il Saggiatore, 2020) di László Darvasi. Un libro maestoso che si è aggrovigliato alla memoria di quelle settimane sacre, vissute tramite rituali precisi e fragilissimi.

E mentre creavo una newsletter che avrebbe parlato di racconti «a caso», di narrativa purissima; contemporaneamente seguivo le lezioni di antropologia di Andrea Staid.

Mi dividevo in due: il mio vecchio sé che dal suo eremo voleva sapere solo di letteratura e una parte nuova di me che ritrovava Eduardo Viveiros De Castro e imparava che alcune pietre sono vive e che immaginare un altro mondo è possibile, andando incontro e abbracciando il pensiero di Tim Ingold. Mi rendevo improvvisamente conto che tutti i libri di antropologia e di letteratura sapienziale che avevo letto negli anni precedenti, trovavano un riscontro pratico e non solo, educativo, nella cosiddetta svolta ontologica in antropologia. Un giorno mi svegliai molto presto e scrissi un testo che venne intitolato dalla redazione dell’Indiscreto che lo volle pubblicare: «Tutta l’importanza del silenzio», come a chiosare quel pezzo dell’8 marzo, di Andrea Staid, da cui tutto è iniziato.  

«Costretti a fermarci e a confrontarci con forze più grandi di noi, in un’epoca di frenetica accelerazione e produttività compulsiva, la riscoperta di Daumal può rappresentare una risorsa interiore per imparare a trasformare ansie individualiste e horror vacui in energia dirompente e creativa» con queste parole la casa editrice Tlon annunciava la pubblicazione, il 14 maggio, di Controcielo di René Daumal, libro del quale ho scritto l’introduzione poco prima che tutto ciò iniziasse. Sprofondare in questo rapporto fuori dal tempo mi ha permesso di ritrovare un maestro, di rileggere Il Monte Analogo e «Le Ultime Parole del Poeta» dalla prospettiva di quei giorni, dal silenzio di quei giorni.

«Non si conosce la parola mediante la parola, ma attraverso il silenzio» scriveva Daumal, il maestro.

Le sue rivelazioni estreme incontrano e si riconoscono, dentro di me, in quella sospensione necessaria di cui avevo parlato con Sara Gamberini e Alfredo Zucchi nel 2018. Si riempiono di senso se evocate dal mondo invisibile che avevo indagato assieme a diversi autori, nel corso di quelle che avevo chiamato «Conversazioni con gli Sciamani» dal 2017 al 2019. Per questo, credo, in quei mesi decisi di lavorare alla Teriantropica, e di intervistare uno scrittore che vive in una casa su un fiume, e di scrivere un brevissimo racconto sulla mia disperata ricerca del polpo nei mari delle Eolie. Tutto torna.

Tutto è legato e confluisce in un punto soltanto: in questo preciso istante metafisico lavoro a un testo che parla di Arpocrate, il dio del silenzio, per DITO publishing, una casa editrice neonata che si occupa di fotografia e arti visive, il pamphlet nel quale sarà pubblicato s’intitola IL SIMBOLO TACE; nel quattordicesimo numero della rivista Futuri (in uscita a dicembre) è stato concesso spazio a un mio saggio dal titolo «Che cos’è il Teriantropismo?» dove introduco i frutti del lavoro di questi mesi, soprattutto dello studio di certa antropologia, espressosi pienamente nell’incontro con il prospettivismo cosmologico; infine, il 22 ottobre Ronzani editore pubblica un’antologia di testi sulla pandemia, intitolata Piccola antologia della peste, curata da Francesco Permunian (che ha saputo orchestrare trentaquattro differenti voci, poeti e narratori molto diversi tra loro, nell’armonia di un concerto polimorfo) nella quale c’è anche un mio breve contributo. Forse quello che state leggendo sarebbe potuto e dovuto essere il testo da inserire nella Piccola antologia, il testo nel quale parlo di quel periodo – o meglio: di questo periodo. Tuttavia, quello che ho scritto per la Piccola antologia è molto diverso da una cronaca della pandemia. Eppure, dentro quel breve testo, l’attento lettore potrebbe trovare delle tracce di questo e di tutti gli altri testi che ho menzionato; potrebbe scoprire che tra il mio Bestiarius immaterialis e il bestiario composto da Roberto Abbiati per illustrare la Piccola antologia della peste scorre un filo sottilissimo e fragile come una formica; e potrebbe comprendere, il lettore sensibile, che tutto è legato e confluisce in un punto soltanto, nei nostri animi. Solo guardandoci allo specchio possiamo trovare una risposta – fatta di domande e domande ancora.

«Ma cos’è lo specchio? Non esiste la parola specchio».

Anche questa frase emblematica di Clarice Lispector è tornata a me durante quei giorni ed era arrivata a me in un momento di grande cambiamento e tornerà a me nel giorno ultimo e infinite altre volte.

Si trova a pagina 77 dell’edizione del 2017 di Adelphi di Acqua viva.

«Come la sfera di cristallo dei veggenti, esso mi trascina verso il vuoto che per il veggente è campo di meditazione e per me campo di silenzi e silenzi. E riesco appena a parlare, da come il silenzio si sdoppia in mille altri. […] Vedere sé stessi è straordinario. Come un gatto a cui si rizza il pelo sul dorso, rabbrividisco davanti a me stessa. Dal deserto comunque ritornerei vuota, illuminata e traslucida, e con lo stesso silenzio vibrante di uno specchio».


Tutte le foto sono di Ngoc Lan F. Tran che ringraziamo per la concessione delle immagini.

Andrea Cafarella collabora abitualmente con «Cattedrale», «Altri Animali», «L’Indiscreto» e «Stanza 251» dove scrive critica letteraria, filosofia e narrativa. Conduce la rubrica «Teriantropica. Uno spazio non-filosofico». Ha scritto e scrive anche per diverse altre riviste. Un suo testo è entrato a far parte della raccolta Piccola antologia della peste (Ronzani, 2020 – curata da Francesco Permunian e con illustrazioni di Roberto Abbiati). Ha curato l’introduzione alla prima traduzione in italiano (di Damiano Abeni) della raccolta poetica Controcielo di René Daumal (Edizioni Tlon, 2020).

Andrea Cafarella