Chiamate notturne

fotografia di Carlo Zei

fotografia di Carlo Zei

Nel corso di una notte qualsiasi, l'ora imprecisata, squillerà il telefono fisso di casa di Diana. 
Noi saremo soli in casa, nel senso che sua sorella sarà via. Allora ci alzeremo allarmati, ma diciamo meglio: Diana si sveglierà allarmata e dirà a me: Rispondi. 

Rispondi. 

Noi saremo su quel suo letto a castello, così che sotto ha spazio per una scrivania e un secondo lettino dove a volte si appoggia, per studiare, stare al computer, buttare sopra semplicemente di tutto. 
Io dormo con lei sul letto a castello, dal lato dell'uscita, della scaletta, perché stare lassù abbarbicato già mi dà ansia, ma se poi devo essere pure sul lettuccio e dalla parte senza uscita, non dormo proprio. Così quando durante la notte squillerà il telefono e lei mi dirà: Rispondi, sembrerà ovvio che sia io che debba rispondere, dal momento che se lo volesse fare lei dovrebbe chiedermi di farmi da parte, poi scendere le ripidissime scalette e infine raggiungere il tavolo sotto al letto.
 
Squillerà il telefono e lei mi dirà Rispondi, mentre io dormivo. Quindi mancherà il tempo di pensare al perché, alla ragione di quella telefonata notturna; si chiama di notte, a quell'ora, solo per annunciare tragedie, io penserò, ma perché devo rispondere io alla sua tragedia, a questo non ci penserò, lì per lì. 

Noi non siamo sposati, stiamo insieme da cinque anni, ma non abitiamo insieme, al momento. Questo non vivere insieme è un tema di discussione continuo tra di noi. Abbiamo abitato assieme in passato, ma in questo momento no. Io ho una stanza da qualche altra parte, Diana la sua stanza in quella casa dei genitori dove vive con la sorella. Comunque sono pronto a farmi carico di sapere io prima di lei, della sua tragedia, se di questo si tratta, penserò, ma è un attimo, mentre il telefono sotto continua a squillare, l'ora imprecisata. 

Rispondi, mi dirà, al che io scenderò le scalette ripidissime e tirerò su il telefono. 

Il telefono fisso è una cosa che io nella mia casa non ho nemmeno, nella mia stanza. Ovvio, non è una vera casa, è una stanza in centro, in quella casa all'ultimo piano che condivido con un amico. Più che una vera casa una proroga sugli impegni della vita adulta. Vita adulta che forse presuppone si abbia il telefono fisso, così da farsi carico delle tragedie che possono colpire a qualunque ora, anche in piena notte, anche alle cinque di mattina, ma noi, quando squillerà il telefono quella notte,  non avremo idea di che ore siano, se le cinque o un'altra ora.

Squillerà il telefono, lei mi dirà: Rispondi e io scenderò le ripidissime scalette, senza pensare che forse dovrebbe rispondere lei alla sua tragedia, che pensiero egoista. Prima di rispondere al telefono penserò per un secondo ancora a questo, poi risponderò semplicemente al telefono come si risponde sempre:
Pronto, dirò, e ripeterò due o tre volte: Pronto, pronto
Dall'altra parte una voce maschile, dopo un primo momento di esitazione, risponderà, a sua volta:
Pronto, con un certo modo strascicato, una lieve nota meridionale e stridula. 
Solo questo dirà, e poi butterà giù la cornetta. 

Allora Diana mi domanderà: Chi era? 
Nessuno, dirò io, Qualcuno che aveva sbagliato, non era nessuno. 
Ma che ha detto? 
Non ha detto niente, niente di niente, hanno riattaccato.
Essere terrorizzati e non darlo a vedere, farsi carico delle tragedie altrui, degli amanti o dei maniaci sessuali altrui: un giorno la mia vita sarà tutta così, ma oggi ancora no.
 
Nelle notti in cui il telefono di Diana squillerà non mi preoccuperò per il futuro. Per il futuro si vedrà, penserò, mentre farò scorrere nella guida il chiavistello di casa di Diana.

 

Simone Lisi
 

Simone Lisi