The Simply Perfect

Calvin Klein called Margaret Howell from his office in the uppermost Northeast corner of an all-glass skyscraper in Manhattan.

On the third boop-boop, Margaret Howell hoisted the receiver of her venerable British Telecom apparatus. Her desk was blond wood, exquisitely crafted, and bare except for a black-and-white photograph in a silver frame. 

“Hello, Margaret? Calvin Klein speaking.”

“Oh hello Calvin.”

“Margaret? It’s Calvin.”

"There's something—just a concept, for now—upon which I thought we might fruitfully collaborate."

"Indeed? Let's hear it."

"Well, it's nothing wildly original. I mean, Karl Lagerfeld and Donald Trump have already done it, but they're not exactly like us, if you know what I mean."

"I think I do, Calvin." Margaret pictured a gilded baroque-kitsch casino with croupiers and cocktail waitresses in black fingerless gloves, opaque sunglasses, fans and blinding-white ponytails.

"A hotel for people who match our aesthetic."

Can anyone possibly match this chic?

Ms Howell was about to say she was a clothing designer and a promoter of the United Kingdom's handicrafts, not an architect or innkeeper. She didn't relish the plural, in this case. A hotel where guests show off their underwear in the lobby and spray themselves with deodorant?

Winter-wear doesn’t sell too well, lately…

Calvin Klein interrupted her thoughts. "You're probably thinking of a sprawling beachfront mansion where gorgeous young people parade through the lobby in black Y-fronts while the air-conditioner spritzes them with Eternity."

"Oh no, not at all. Tell me what you have in mind."

"Simplicity. I know, I know...sounds like another perfume. But what I mean is a place not overly grand, with iconic lighting, thoughtful furnishings, a wobby-sobby dress-code, sustainable food and..."

A long pause followed. Margaret thought the line might've gone dead. "Hello? Calvin? And what?"

"Expensive as fuck!"

Sometimes a fuck is expensive.

***

Semplicità perfetta

Calvin Klein telefonò Margaret Howell dal suo ufficio in cima a un grattacielo di vetro a Manhattan.

Al terzo bìp-bìp, Margaret Howell alzò il microtelefono del suo venerando apparecchio British Telecom. La sua scrivania era di un legno biondo, di squisita manifattura, sgombra a parte una foto in bianco e nero dentro una cornice d'argento.

"Hello, Margaret? Parla Calvin Klein."

"Oh hello Calvin."

“Che piacere sentirti, Calvin.”

"Mi è venuta in mente una cosa—per ora è solo un concetto—sulla quale pensavo che potremmo collaborare con successo."

"Sentiamo."

"Ora, non è nulla di pazzescamente originale. Voglio dire, l'hanno già fatto Karl Lagerfeld e Donald Trump, ma loro non sono esattamente come noi, se sai cosa intendo."

"Credo di capire, Calvin," disse Margaret. Si immaginò un dorato casinò barocco-kitsch con croupier e cameriere in guanti neri, occhiali da sole opachi, ventagli e codini di un bianco accecante.

"Un hotel per chi è in linea con la nostra estetica."

“Un’estetica non è un hotel, ma forse non è vero il contrario.”

Miss Howell stava per dire che era una stilista sostenitrice dell'artigianato britannico, non un’architetta o albergatrice. E non gradiva l'uso del plurale, in questo caso. Un hotel in cui gli ospiti sfoggiano i loro indumenti intimi nella hall mentre si spruzzano di deodoranti?

Calvin Klein interruppe i suoi pensieri. "Probabilmente starai pensando a una vasta villa sul mare in cui gente giovane e bella vestono mutande nere mentre sfilano per la hall e l'aria condizionata schizza Eternity."

Profumo spruzzato per strada finisce in un caloroso diner.

"Oh no, per niente. Dimmi cos'hai in mente."

"La Semplicità. Lo so, lo so, sembra un altro profumo. Ma sto pensando a un posto non troppo grandioso, con una illuminazione iconica, un arredamento considerato, un dress code wabi sabi, cibo sostenibile e... "

Seguì una lunga pausa. Margaret pensò che fosse caduta la linea. "Hello, Calvin? E poi?"

"Fottutamente caro!"

Chi potrebbe aspirare a una tale estetica? Un’estetista?

matthew licht