Il nostro eroe non fa gli esercizi 2

Aveva latitato nella disperazione per alcuni mesi. Alcool, sigarette, donne, giornate passate a letto nel tentativo di riconnettersi al mondo. Per cui pensò che il primo passo consistesse nel darsi una regolata. Come prima cosa avrebbe fatto degli esercizi la mattina. Niente di cantoriano, sarebbe bastato fare un po' di meditazione trascendentale, dieci minuti di riposo, poi alcune flessioni, diciamo pure due serie da dieci, subito dopo due serie da venti di addominali e lo stesso per quanto riguarda i dorsali, e infine due serie da dieci di piegamenti sulle gambe. Subito dopo doccia, lavarsi i denti e cominciare la giornata in modo positivo. Un vecchio detto zen recitava: "Un tempo, in Giappone, per macinare il grano i contadini usavano una mola che un cavallo faceva ruotare. Il cavallo girava in tondo incessantemente, lungo tutto l'arco del giorno, cercando di afferrare una carota che gli pendeva davanti; solo al calar del sole il cavallo riusciva a mangiar la carota. Questa è l'immagine fedele della nostra civiltà".
Dunque per essere una persona civile far qualche esercizio poteva essere un buon punto d'inizio. Eppure non li faceva mai. Preferiva ascoltare le voci dei passanti dalla finestra, disteso a letto con una mano abbandonata tra i peli pubici.
I discorsi dei passanti che ascoltava dalla finestra erano per lo più delle disperate poesie di addio. Sembrava che tutte le coppie non potessero resistere alla tentazione del litigio e anche i passanti single, che litigavano con entità astratte o con se stessi o con altri passanti sconosciuti. Era tutto un vociare, tutto un arrabbiarsi, tutto uno stare male - non se ne poteva più. Il nostro eroe pensò una mattina mentre non faceva gli esercizi che gli uomini fossero stati fatti di una materia stupida e viva.

E così canticchiò un breve melodia che faceva così:
 

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