Il natale di Emily

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Emily riassettò il fuoco nel camino, ci soffiò sopra e si passò le mani sulle braccia incrociate. Fuori era freddo. Era la notte della Vigilia. Rimase un po’ davanti al fuoco, poi abbassò le luci. L’albero risplendeva, in fondo alla stanza, proprio davanti al camino. Babbo Natale avrebbe gradito. Stavolta, era sicura, lo avrebbe visto. Era la volta buona. Avevano voglia, i grandi, a dire che non esisteva. Che ne sapevano quelli? Sempre con quei musi lunghi, a parlare con voce preoccupata di quelle cose noiose che dicevano al telegiornale. Loro, non esistevano. Non era così sicura di vederlo scendere dal camino, però. Forse sarebbe entrato dalla finestra, come un ladro. Come quei pupazzi bruttissimi che la gente appendeva ai terrazzi. O dalla porta magari. Dettagli, pensò Emily. Poi pensò che dettagli era una parola da grandi e poi pensò di prendersi una fetta di pandoro. Socchiuse la porta e passò alla cucina. Tagliò una larga fetta del pandoro e mangiò rapidamente la parte interna, quasi senza masticare. Poi attaccò con calma quella esterna, la sua preferita, carica di burro e zucchero a velo. La mamma non voleva che ne mangiasse troppo. Diceva che faceva venire le carie. La mamma se ne intendeva. Era odonto qualcosa. Insomma, la fata dei denti. Ma tanto ora dormiva. Andò nella sua stanza. La mamma era in sottoveste nera, addormentata sopra ai lenzuoli. Le coperte tirate via, come faceva sempre di notte. Aveva i capelli neri come il carbone scompigliati sulla faccia. Aveva la pelle bianca come le principesse delle favole. Si avvicinò e le stampò un bacio burroso sulla guancia. La mamma era neve. La mamma era una colomba. La mamma colomba sorrise nel sonno, ed Emily tornò nell’altra stanza ad aspettare Babbo Natale. Nel soggiorno illuminato dal fuoco e dall’albero guardò oltre i vetri della finestra. Era convinta che con una bella nevicata Babbo Natale sarebbe arrivato più facilmente. Non sapeva il perché. Fuori non nevicava. Indugiò un po’ a guardare il cielo. Tirava un po’di vento, vide le nuvole passare dietro la luna, tirò le tende e andò a nascondersi dietro il mobile. Aveva sistemato una coperta bella spessa e dei cuscini. Si chiese come facesse Babbo Natale a scendere nei camini accesi senza bruciarsi. Ma forse non passava da lì. E poi Babbo Natale comunque era magico no? Si tirò la coperta spessa fin sopra la testa e si mise ad aspettare. 

Si svegliò di soprassalto. Accidenti, si era addormentata! Si pizzicò forte la guancia, più per punirsi che per svegliarsi del tutto. Si guardò intorno. Sembrava tutto a posto. L’orologio a muro segnava quasi mezzanotte. Sentì il bisogno di andare a sciacquarsi la faccia e si divincolò dalla coperta. Mentre usciva dal suo nascondiglio la campana del paese, in lontananza, batté dodici rintocchi. Dette una rapida occhiata dietro i vetri. Non era nevicato, ma la strada e i campi erano bianchi di brina. Chissà, si disse Emily, per la prima volta toccata dal dubbio. Chissà se verrà. Aveva appena deciso di tenere testa al tarlo con una robusta fetta di pandoro quando sentì un rumore, come un sbattere d’ali. Il rumore si avvicinò, si ingigantì, divenne un frastuono insopportabile. Possibile che la mamma non si fosse svegliata con quel casino? Tornò a guardare di là dal vetro, ma il rumore veniva da dietro l’angolo. Il rumore si placò, mentre sopravvenne una luce intensa tra il verde e l’arancione. In un lampo tutto fu chiaro. La luce e il rumore non venivano dall’atro lato della casa. Venivano da sopra. E la mamma, semplicemente, non poteva essersene accorta. I grandi, per qualche assurdo motivo, certe cose non potevano sentirle, semplicemente. non potevano. Corse felpata verso la porta e la spalancò. Vide una slitta. Di legno, enorme, ferma nel mezzo del giardino. Sei renne, enormi, con corna monumentali, brucavano l’erba coperta di brina. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma quelle bestie sbuffanti le facevano paura. Tornò a precipizio in casa, sbattendo la porta alle sue spalle e si tuffò di nuovo dietro il mobile. Una luce azzurra si diffondeva dal camino. Ci siamo, si disse. Qualcosa stava cadendo nel fuoco. Qualcosa di leggero, che rifletteva la luce azzurra, e sfrigolava sulla legna che ardeva. È neve, si disse Emily. Il fuoco si spense. Un ometto non più alto di venti centimetri si calò agilmente da una cordicella. Emily guardava con gli occhi neri sbarrati. L’ometto fece un passo nel soggiorno, si turò il naso e cominciò a soffiare a bocca chiusa, gonfiando le guance rubizze. Aveva una barba bianca lunga fino al petto. Non c’erano dubbi. Era lui. Ci fu un rumore come di spumante stappato, uno schiocco attenuato, e l’ometto si gonfiò fino a dimensioni normali, di colpo. Sospirò, prese un sacco dal camino e si mise a trafficare davanti all’albero, dando le spalle al nascondiglio di Emily.  Lei decise che era il momento, ora o mai più, si disse, deglutì forte e prese il coltello da cucina che aveva nascosto nella coperta.   Camminò piano alle spalle di Babbo Natale, cercando di non fare rumore. Il coltello, nella sinistra, sembrava più grande di lei. Pensò ai sacchi di ferro e carbone per i bambini cattivi. Brutta spia dei grandi, pensò. Maledetto trippone. Adesso le paghi tutte. 

 

Filippo Rigli

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