Il segreto della vista a raggi X

Nella casa più triste di un brutto quartiere abitavano due uomini calvi. 

Tony era un cervellone, e anche uno sciattone olimpico. Non ero tanto meglio.

Vivere da cavernicoli è divertente. Basta poter uscire ogni tanto dalla caverna. Questa perlomeno era la mia filosofia troglodita. Tony invece si scavava sempre più profonda la grotta. Non esiste fondo. Smise di vestirsi da essere umano. Diventò una specie di animale notturno. Stava seduto per delle ore a fissare il computer che aveva costruito con le proprie mani, usando componenti di recupero. Si era laureato a pieni voti in ingegneria elettronica. Una volta gli venivano offerti posti di lavoro da favola. Ora faceva soldi fissando uno schermo fosforescente. Ne faceva tanti. Guadagnare era diventata la sua ossessione. Si offrì di insegnarmi il segreto, ma non ero curioso. Ce l’avevo, un lavoro.

Scrivevo per una rivista indecente, fingendo di essere una serie infinita di donne erotomani ed esibizioniste per indurre altri uomini a masturbarsi. La rivista era popolare, specialmente tra carcerati e subnormali. Scrivevo i testi sul computer di Tony, e li inviavo in redazione per via internet. La paga non era delle migliori, ma ci mettevo solo pochi giorni al mese.

Tony non sprecava tempo sulla carta stampata. Era preso dalla cocaina e dalle prostitute. Il sesso convenzionale non lo interessava. Pagava per essere legato, imbavagliato, malmenato e scudisciato.

Grida soffocate e schioccare di frusta echeggiavano mentre cercavo di leggere o dormire, ma il segreto della coabitazione armoniosa è tolleranza e rispetto reciproco.

Una volta tornai da un lungo giro senza meta in bicicletta e trovai Tony elegantemente vestito.

“Che fai, ti risposi? Ti sei stufato di pagare?”

“No. Ma questa che viene ora è speciale.”

“Ah sì? Ha la frusta fatta di cocaina?” Mentre mettevo via la bici Tony farfugliò qualcosa che non capii. “Come? È russa?”

“È cieca.”

Era pure bionda. La intravidi quando Tony la fece entrare. Stavo finendo un numero speciale della rivista, anale al 100%. La bionda non portava occhiali scuri, né usava la bacchetta bianca, né aveva un Doberman-guida. Tony le prese il cappotto e chiese se voleva bere qualcosa, prima. Lei disse no, grazie, quasi sussurrando.

Passarono nella stanza di Tony. Lui chiuse la porta a chiave. 

Le frustate e gli schiaffoni risuonarono più forti del solito. Poi lei iniziò ad imprecargli contro come un’arpia.

Con questa colonna sonora, le avventure anali scorrevano. Mi domandavo se lei sapesse che ero lì. I ciechi sarebbero capaci di percepire presenze estranee grazie all’olfatto acuito, dai cambiamenti elettromagnetici nella densità dell’aria e così via, ma non ci credo. I ciechi sono persone normali, solo che non ci vedono. Chiudi gli occhi e sei cieco. Se li tieni chiusi abbastanza a lungo, anche tu ti dimenticherai che aspetto hanno le cose, i colori, le persone.

Finii, spensi il computer e chiusi gli occhi. Sentivo il macabro suono di un corpo sudato che si dimenava sul pavimento di legno, pianti soffocati, raffiche di frustate e una donna cieca che inveiva, che urlava il suo odio per gli uomini. Riaprii gli occhi e uscii a fare quattro passi. 

Quando tornai, non c’erano ambulanze parcheggiate davanti alla stamberga. Entrai, e vidi che non sarebbe stato necessario accompagnare nessuno al pronto soccorso. Lei se n’era andata. Tony era in cucina. È un bravo cuoco. Si muoveva un po’ indolenzito, ma sembrava contento. Mangiammo insieme un’ottima cena.

Tony smise di chiamare le altre squillo, anche se la cieca dalla frusta assassina non faceva sedute che finivano in orgasmi. O forse lei godeva, infierendo contro uomini con troppi soldi che non possono avere rapporti del tipo biologico con le donne, oppure non vogliono. Si presentava al nostro tugurio due volte a settimana. Tony raccontò che si erano messi d’accordo che lei prendeva una parte della marchetta in coca. Un amico spacciatore gli faceva sconti in cambio di certi lavori sul computer. Tony voleva indurla ad accettare tutta la paga in droga. Tu picchiare me, io dare te bamba.

L’economia globale diventa meno complicata ogni nanosecondo che passa.

Cominciai a sognare la puttana sadomaso cieca, anche quando credevo di essere sveglio. Cercavo di immaginare che aspetto avesse, nuda. Come le sarei sembrato io, nudo? Quali terribili sogni riempivano le sue notti?

L’economia globale, i computer e internet silurarono il mio lavoro. Persino gli ergastolani Down oramai possono navigare in rete e segarsi gratis quanto vogliono. Le riviste hard andarono praticamente in estinzione. Venni licenziato per posta elettronica. Lavoro a tempo libero equivale niente cassa integrazione, niente sussidio statale per i disoccupati. Meno male che la bici l’avevo pagata tutta. Presi ad uscirci più spesso, per giri sempre più lunghi. Specialmente le notti che veniva lei. Pedalare al buio non mi fa impressione.

Una sera rientrai che la casa era immersa in un lugubre silenzio. Appesi la bici al gancio, mi spogliai e mi feci una doccia bollente. Ero sicuro che Tony fosse morto. Overdose di cocaina, oppure la dominatrice non-vedente gli aveva provocato un infarto a suon di nerbate. Mi sarebbe toccato chiamare la polizia. Avrebbero preteso delle spiegazioni. Forse era meglio scavare una fossa nel giardino delle erbacce, infilare Tony in un saccone per l’immondizia e scaraventarlo dentro.

Lei mi mise le mani sugli occhi mentre guardavo bollire l’acqua per il tè. Si muoveva silenziosa come una gatta nella casa buia. Mi disse di farne una tazza anche per lei, ma corretto. Il whisky era nell’altra stanza. Mi tenne le mani sugli occhi mentre andai a prenderlo. La bottiglia di whisky era quella quadrata. Metti il dito sull’orlo della tazza per non riempirla troppo. Per non ustionarsi il polpastrello, senti il calore che sale, ascolta la tazza che si riempie. È logico. Ci si abitua, alla cecità. Si scoprono modi per adeguarcisi. Tenni chiusi gli occhi quando lei mi tolse le mani dal viso. Andammo a sedere nel salotto, ammobiliato con sofà e poltrone trovate accanto ai cassonetti. Le chiesi se Tony era ancora vivo. 

Abbiamo un po’ esagerato, disse lei. Ora sta riposando. Mi passò una piccola chiave. 

“Vai a dargli un’occhiata.”

“No, grazie.” 

“Bene, allora non ci andare.”

Bevemmo il thè. Lei disse, “Ho sentito che hai perso il lavoro.”

M’immaginai Tony ammanettato al termosifone, bendato, con in bocca una palla di gomma rossa, che mugugnava cose incomprensibili. “Come hai fatto a sentirlo?”

“Sono cieca,” disse. “Mica sorda.”

“Se sei cieca, perché non porti gli occhiali da sole, perché non usi la bacchetta bianca?”

“Vorresti insinuare che fingo la cecità per impietosire i clienti e farmi pagare di più? Vuoi far finta di mollarmi un pugno per vedere se reagisco?” 

Non aggiunse, provaci, e vedrai cosa ti succede. 

“Ero solo curioso,” dissi.

“I miei occhi sembrano normali, ma non lo sono. Ho dei rimasugli di percezione della luce, ma sta deteriorando. Tra poco verrà il buio totale. Per me è così. Se m’imbatto in delle cose, mi ci imbatto. Se inciampo, casco per terra oppure no. Se mi perdo, chiedo delle indicazioni, proprio come faresti tu, se non sei uno di quegli imbecilli che non vogliono mai chiedere indicazioni. E io, a differenza di te, posso permettermi di girare in tassì.”

Riaprii gli occhi. Lei sorrideva crudele. Guardava la parete dov’era appesa una vecchia foto in bianco e nero, incorniciata, di una ragazza tedesca che spompina un pastore tedesco. Lei non poteva vedere quella pittoresca anticaglia pornografica. Nemmeno io potevo, perché non avevo acceso la luce. 

Cercò inutilmente con la mano un mobile dove posare la tazza. “Hai bisogno di soldi?”

“Non tanto. Non ancora.”

“Non è ciò che pensi tu.”

“Perché, cosa sto pensando?” Stavo pensando a spaccio di cocaina, lavori da magnaccia, sedute sadomaso con assistenti incappucciati a tempo perso.

“Il tuo colore preferito è il blu,” disse. E aveva ragione. Il mio colore preferito è infatti il blu. Come il cielo, il mare, le genziane alpine. Anche i suoi occhi erano blu. Ma non riuscivo a vederli. Mi sarebbe bastato accendere una lampada. Ne avevamo tante, tutte raccattate. Tony le risistemava, era bravo a saldare. La mia quota delle bollette della luce sarebbe diventata una problema, se non rimediavo un nuovo lavoro. 

“Non mi ricordo che aspetto abbia, il blu,” disse lei. “Non ho idea di cosa vede una donna quando un uomo la penetra. Quando ero bambina c’erano colori, ma quando iniziai a fare sesso, non erano rimaste che ombre. Ora stanno scomparendo anche quelle.”

“Cosa posso farci?” Immaginai chirurghi, bisturi laser, io con una pezza di cuoio all’occhio destro e un milione di euro sul mio conto in banca. Io e lei a spasso per le strade di Parigi. Lei non ce l’ha, la pezza sull’occhio. Ha invece un occhio blu e un occhio marrone, come il mio. Lei sotto il trench è nuda. Siamo diretti a un ristorante chic, poi a una festa particolare a una villa in campagna, piena di gente nuda che si nasconde il viso dietro maschere di animali.

“Dovresti solo leggermi storie,” disse lei. “Ti do cinquanta all’ora.”

“Si fa qui, o a casa tua?”

“Qui.”

Valori svolazzavano per aria come fantasmi invisibili. Tony le dava droga. Lei mi dava contanti. Io le davo parole. Tony se ne stava in camera sua, legato, bastonato. Non irrompeva mai, non gli sarebbe stato possibile. La sua padrona spietata e cieca ed io eravamo nel brutto salotto. Forse anche Tony poteva sentire la lettura. Forse le storie erano per lui un supplizio in più, che gli impediva di godere fino in fondo la sua solenne punizione. Lei si mise il cappotto sopra la tenuta sadomaso, come una modella che si infila un kimono tra le sedute di posa. I suoi incontri con Tony erano delle mascherate, giochi in costume, a parte le urla e le botte. Lei quando gridava non sembrava giocare. 

Voleva sentire le cose che scrivevo, lasciava a me scegliere quali. Non diceva mai nulla mentre leggevo. Fissava il vuoto oscuro che la attorniava sempre, in direzione del finestrone con le sbarre. Fuori, passavano le macchine. Non erano tante. Ogni tanto passava qualcuno a piedi. Non esiste, la visione a raggi X. Chi passava non ci vedeva. Io non vedevo Tony, chiuso in cella. Mi domandavo se quella finestra le appariva come un rettangolo grigio sulle rètine morenti. Lei non tirava su col naso, né straparlava come sono soliti i cocainomani. Per leggere usavo la voce di tutti i giorni, non facevo effetti vocali per indicare i vari personaggi. 

Intendiamoci: a volte rideva, e nei punti giusti. Non era come leggere ad una statua bionda dagli occhi blu in tilt, ma non diceva mai nulla del tipo bella roba, oppure, fa cagare, oppure, nessuna donna direbbe mai, né sentirebbe mai, né farebbe mai una cosa del genere. In altre parole, nulla di ciò che avrei voluto sentire.

Esiste una teoria che l’occhio umano non sia soltanto uno strumento per captare informazioni luminose del tipo difenditi o scappa. La consapevolezza di essere osservati non è un caso. Esperimenti e statistiche ne danno la conferma. Gli occhi emettono raggi non quantificabili, imperscrutabili e invisibili quanto la luce stessa. Non volevo che lei sapesse che mi bendavo gli occhi per le nostre sedute. Avido di pseudo-sapere parascientifico, non le chiedevo di bendarmeli. Gli scienziati vogliono che i soggetti di qualsiasi esperimento siano reciprocamente ciechi. Solo così si possono ottenere risultati rigorosi. 

Omero erotico sbraita per vitto e alloggio, e per le bollette della luce. Canta, o musa, diceva lui, e poi si metteva a cantare. Intrattenevo una donna cieca mentre lei, nell’altra stanza, teneva prigioniero un cocainomane secchione dell’informatica. La mia memoria non è delle migliori. Non sono capace di recitare i miei racconti. Presi a inventarmeli sul momento, con sempre più mutanti sessuali e atti osceni, illegali e impossibili nella realtà. Non avevo mai guadagnato così tanto con la scrittura, e non stavo nemmeno scrivendo. Facevo finta di voltare pagina, di fare piccole correzioni. Tracciavo sghiribizzi senza senso su fogli di carta salvati dai cestini delle copisterie. 

Aguzzavo le orecchie per un suo pur minimo gemito, per il fruscio che avrebbe potuto fare il suo pube strofinandosi sul lurido sofà, rumori umidi di donna. 

Sentii solo silenzio. 

E che cosa avrei fatto poi? Sicuramente era cintura nera di ju-jitsu.

La Silencieuse, fotografia di Christophe Pok

Un Tony sciolto, cioè non legato, pippato, era sulla triste soglia quando rientrai dall’ennesima futile odissea in bici. Beveva birra. Aveva gli occhi rossi. Disse, “Che cazzo stai cercando di combinarmi, stronzo?”

“Di che stai parlando?”

“Lascia stare la mia ragazza.”

“Di che stai parlando?”

“Mi sta trascurando.”

Quando la vita si trasforma in un film noir di infimo grado e il tuo coinquilino drogato è isterico, avresti voglia di prenderlo a schiaffi. Ero troppo impegnato a cercare di richiudere la bocca per farlo. 

“Ti sta dando di volta il cervello. Tu le dai la polvere. Lei ti lega e ti prende a calci in culo. Tu ti diverti così. Massimo rispetto. Io sono disoccupato. Lei mi paga per leggerle perché è cieca. Ma non sono una puttana. Lei invece è una puttana. Non è la tua ragazza.”

“Lasciala stare comunque.”

“Scòrdatelo.”

Ruppe la bottiglia per sfregiarmi, cavarmi gli occhi, ma la ruppe un po’ troppo forte. Schiuma di birra e frantumi di vetro volarono dappertutto. Gli buttai in faccia la bicicletta. Cascò all’indietro, sui vetri rotti. Gli camminai sopra per entrare. “Lascia stare la cocaina, piuttosto.”

Aveva il culo zuppo, ma non si era tagliato un’arteria. Disse che dovevo andarmene. Gli dissi certo ora vado, ma non me ne andai. Dove potevo andare? 

Andai nel lurido bagno e mi feci una doccia. 

Quando finii, Tony era tornato al computer a fare i suoi affari misteriosi e redditizi. Aveva pulito per terra. 

Si vendicò cambiando il luogo dei suoi incontri con lei.

Due volte a settimana si metteva i vestiti migliori e guidava fino al nuovo penitenziario, ovunque fosse.

Il pensiero di Tony che si spogliava davanti a lei mi inquietava, anche se lei non lo vedeva. Per quanto ne sapessi, lui rimaneva vestito, oppure si metteva le briglie e il perizoma di cuoio nero nello spogliatoio per i clienti. Lei poteva toccarlo. Si trovavano insieme in una stanza a compiere atti che avevano un significato sessuale. O magari lo avevano solo per lui. Forse lei odiava sul serio gli uomini, e voleva danneggiarli. 

Nei sogni che facevo di lei, mi faceva capire che non mi odiava. Ci baciavamo e ci spogliavamo l’un l’altra in una stanza al buio. La sentivo, ma la vedevo. Mi diceva che le mie storie le mettevano tante immagini in testa. 

Mi telefonò lei. Quando squillò il telefono, stavo guardando porno gratis sul computer. Tony era riuscito ad intrufolarsi in un esclusivo sito per incontri anonimi. Le donne iscritte lasciavano numeri di telefono e recapiti di posta elettronica. Era fin troppo facile incontrarle in carne e ossa.

Lei mi telefonò e mi disse di raggiungerla in un albergo in città, vicino alla stazione ferroviaria.

L’uomo dietro il bancone mi disse di salire all’ultimo piano, seconda porta a sinistra. L’ascensore era lì davanti, a dieci metri. Mi ero messo gli occhiali da sole. Credeva che fossi cieco, come lei. Può darsi che anche i fessi ciechi la pagavano per essere pestati senza pietà, che lei odiava gli uomini ciechi tanto quanto quelli vedenti. Forse torturava pure le donne, anche altre cieche. Non avevo alcuna idea delle sue faccende, ma ormai ci ero dentro. Mi aveva dato un indirizzo e ci sono andato, come uno schiavo drogato.

Aprì la porta. La stanza era banale. Quattro sedie attorno a una tavola sotto la finestra e un letto che sembrava di secondaria importanza. Forse la stanza veniva affittata da uomini d’affari per riunioni segrete. 

Aveva riempito il lavabo di cubetti di ghiaccio e bottiglie di birra. Serviti pure, disse, e portamene un’altra. Si sedette sul sofà con la schiena rivolta al finestrone. Mi sedetti sulla poltrona dirimpetto. La stanza vantava un panorama di un grattacielo aziendale piena di gente che lavorava seduta dietro scrivanie, che batteva su tastiere. Passavano da una stanza all’altra con dei fogli in mano, senza un suono.

Ci scolammo tutta le birre mentre le raccontavo storie di sesso. Brilli, abbiamo iniziato a strusciarci sul sofà, sulla poltrona, sulla tavola, sulla moquette, sul letto. La gente negli uffici avrebbe avuto un’ottima visuale di ciò che facevamo, se avessero guardato. Non potevo saperlo, avevo gli occhi chiusi. Lei mi permise di metterle le mani sotto la camicetta, ma non volle che la spogliassi. Niente reggiseno. Micromutandine di pizzo sotto la minigonna. Mi mise le mani sotto il maglione, sotto la maglietta, sulla patta dei jeans, ma mai dentro. Lei ci godeva ad amoreggiare così, io no. 

Squillò due volte il telefono sul comodino. Era il segnale che dovevamo liberare la stanza. 

La giornata era conclusa, fuori era venuto buio. Il palazzone aziendale brillava, ancora pieno di gente, chi finiva di lavorare, chi faceva piccole pulizie, chi metteva via documenti, chi spegneva i macchinari d’ufficio, chi si metteva cappotti e cappelli. Anche noi ci ricomponemmo.

Mi diede i soliti soldi. Volevo dirle, stavolta no. Poi pensai che le piaceva pagarmi, e li presi. Volevo darle un bacio nell’ascensore, ma mi mise una mano sul petto.

Si buttò in un tassì proprio davanti l’albergo, come se il tassista l’avesse aspettata. Lei chiuse la portiera. Non so se il tassista sapeva già dove portarla, o se lei gliel’ha detto quando non potevo più sentire. Non mi guardò nemmeno. Certo che no. Avevo messo gli occhiali da sole in tasca. Memorizzai il numero di targa del tassì, ma dopo poco lo dimenticai.

A casa, Tony era al computer con una bottiglia di vino quasi vuota. Ormai beveva direttamente dal fiasco. Guardava foto digitali di donne. Donne che la davano.

Non la vidi mai più. Lei non mi ha visto mai. Ero solo un’ombra, come quelle macchie grigie a Nagasaki che erano state degli esseri umani. Per lei ero un fantasma, ed ero svanito. 

Scrivevo storie, uscivo in bici. Trovai un nuovo modo per guadagnare soldi.

After Hours, fotografia di Christophe Pok

Lei mi ritelefonò e mi disse di andare all’edicola per comprare il nuovo numero di The New Yorker. Non disse altro.

Andai in biblioteca a leggere la rivista. C’era un racconto scritto da una donna di nome Jane. Era scritto bene, metteva in testa immagini forti, di quelle che non riesci a dimenticare. Quando tornai a casa, il postino aveva messo nella buca diverse lettere da redattori che dicevano no, grazie.

Se un tuo racconto viene pubblicato, vuol dire che altri racconti sono stati scartati. Il mio racconto era tra quelli. Ero fuori. Messo KO. Steso. Fuori di testa.

Forse la telefonata era il suo modo di dirmi grazie. Forse. 

I racconti di Jane continuarono a venir pubblicati. Forse Jane era lei. I racconti si trasformarono in libri nelle librerie, e i libri diventarono dei film a Hollywood.

La donna nella foto sulle copertine dei libri portava gli occhiali scuri. Non era bionda, ma anche una donna cieca può tingersi i capelli, se vuole.

Quasi tutte le puttane che vengono qui a trovarci si tingono i capelli, o portano parrucche. Anche alcune di quelle che la danno a sconosciuti. Una delle troie mi ha rubato l’orologio. Le professioniste regolarmente fanno piazza pulita delle scorte di cocaina che Tony nasconde invano per tutta la casa. Queste donne vedono due sciattoni che bevono troppo e non vanno granché d’accordo. Se parlano tra di loro dopo, diranno: quella coppia di fessi depressi.


Matthew Licht è fiorentino di adozione, ha pubblicato diversi libri in inglese e italiano. Sotto pseudonimo collabora a romanzi gialli. Per Stanza 251 scrive settimanalmente il blog bilingue Hotel Kranepool, sull'industria dell'ospitalità metafisica.

Matthew Licht